SARA PERNIOLA | Nell’ambito del 50esimo Festival Internazionale del Teatro promosso dalla Biennale di Venezia, durante il weekend del 25 e 26 giugno, dopo The Lingering Now di Christiane Jatahy (ne parliamo qui) abbiamo avuto modo di assistere anche allo spettacolo Una foresta di Olmo Missaglia e di sentirci sospesi con il progetto Late hour scratching poetry grazie ai testi di Alda Merini recitati da Asia Argento e Galatea Ranzi e con le musiche di Demetrio Castellucci

Olmo Missaglia è lecchese, classe ’91, si è formato come regista in Belgio ed è il vincitore della Biennale college teatro registi under 35 dello scorso anno. Presso il Teatro Tese Arsenale-Tese dei Soppalchi porta in scena una storia sui millennials fatta dai millennials che appare onesta perché rappresentata dagli unici individui che avrebbero potuto narrarla: chi vive il proprio tempo.
Un milanese (Michele), un’asiatica (Mizuki) e un francese di provincia (Romain) parlano lingue diverse e provengono da luoghi diversi; sono persi in una foresta, in una notte di inizio estate, mentre una quarta attrice (Lea) funge da narratrice, inducendo la platea a entrare nella selva. Entriamo e quello che troviamo al suo interno sono diversi cammini che oscillano nel vuoto, le forme fisiche degli attori ora in quiete ora schizofreniche perché non sanno dove andare, mentre sperimentano «
la nausea a furia di cercare di stare a galla».
I performers rappresentano, così, l’ambiguità feroce di chi si trova oggi alle porte dell’età adulta, il paradosso di una certa parte di agglomerato sociale connotato dall’ansia dell’instabile, dalla tristezza di voler procedere e trovarsi, invece, il labirinto di mezzo.
Se, però, il riferimento alle dinamiche vissute dalla Generazione Y (nati tra il 1981 e la metà degli anni ‘90) è chiaramente leggibile nonostante le “follie” che imperversano sulla scena – come
l’insistenza paradossale sulle scarpe di Michele, Romain e Mizuki (rispettivamente le Nike Wildhorse, le Clarks e “scarpe da ginnastica comprate su Vinted”), o quando si chiama la pizzeria Unicorno per chiedere come poter essere felici –, il materiale drammaturgico a un certo punto diventa ipertrofico mettendo a rischio una visione lucida e rendendo il lavoro inaccessibile da parte di chi non è pienamente immerso in quell’universo.

Di conseguenza il plot – sempre che un plot esista davvero – non si presta molto alla sintesi poiché nello spettacolo è presente una complessità di riferimenti ipertestuali che portano a troppe occasioni da cogliere: dalla scena del ballo di Pulp Fiction alle Lettere Luterane di Pier Paolo Pasolini con la denuncia della perversione insita nei nuovi mezzi di produzione; dal teatro dell’assurdo e dall’esistenzialismo di Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard alle maschere rappresentative del fake pervasivo del mondo contemporaneo. Una sovrapposizione di piani, dunque, che non permette di identificare un unico canale di lettura, e quello che emerge è una waste land sede di un reality grottesco, ironico e intelligente fatto di traffico di corpi, emozioni, eventi. È anche vero che alle volte sembra si giri un po’ a vuoto e che le intuizioni non siano forti come sembravano all’inizio e non riescano a rendere materica un’idea.
La storia, però, non è il punto focale di questo progetto corale a tutto tondo – sia nella rappresentazione che nella scrittura scenica – ma solo un espediente «per attraversare il terreno delle proiezioni del futuro delle paure», come afferma il regista stesso. Un mezzo per rapportarsi ad un universo che si desidera, ma che non sempre fa affratellare.

La platea, poi, è incastonata in una dimensione fluida di interscambio tra reale e surreale, fantastico e sentimentale, mentre segue un principio narrativo che si sviluppa nello spazio teatrale e viene inspessito da stili e registri differenti: gag esplicate con parole e tonfi, dialoghi impreziositi da musica e canti, la quotidianità del vivere visibile grazie a scatole di pizza e glitter. Il tutto, ancora, è accompagnato da una scenografia essenziale: la foresta che fa da sfondo, il pavimento bianco, una panchina, un armadio antincendio e due schermi con la traduzione in italiano. Uno spazio scenico luminoso e vuoto, campo del possibile, dove la presenza attoriale trova un’identità tra il racconto di esperienze personali e immaginario collettivo.
Lo spettacolo concede la visione di sentieri confusi e rotte non troppo nitide, nella ruvidezza di una ricerca che non si risolve e che si colora metaforicamente di rosso, nel suo pulsare, perfettamente in linea con il colore guida della Biennale Teatro 2022.
Vien da pensare, però, quale sarebbe stato il risultato se la compagnia non avesse avuto paura del “trauma dello sgombero” e se avesse sacrificato qualcosa; se, così, quell’acerbità un po’ ritrovata nel corso dello spettacolo non si sarebbe tramutata in una forma raffinata capace comunque di rappresentare le voracità contenutistiche.

La selva oscura in cui ci si perde è quindi una scelta tanto disperata quanto lucida e speranzosa poiché è la via obbligata che la generazione dei millennials percorre: sapersi destreggiare nel disequilibrio diventa il nuovo equilibrio e lo struggente diventa anche apertura. 

Il flusso sanguigno continua e ciò che leggiamo nella descrizione del tema della Biennale Teatro di quest’anno è anche questo: “Creazioni ospiti del Festival sconfineranno oltre le linee di demarcazione, presentandoci opere d’interferenza con una eterogeneità di linguaggi, tecniche, codici in dialogo con le urgenze del Presente. Non un solo teatro ma molti teatri possibili; in un travaso di senso tra una grammatica e l’altra”, concetto virtuosamente concretizzato da Late hour scratching poetry, in una commistione e mutazione di poetiche che ripensa alla relazione personale e intersoggettiva.

Il progetto intitola la sezione “fuori orario”, la quale vede, al termine degli spettacoli, reading di alcuni testi in prosa di Alda Merini – uno tra tutti La pazza della porta accanto – recitati da Asia Argento, Galatea Ranzi, Sonia Bergamasco e le attrici della Scuola d’Arte Drammatica Silvio D’Amico che, sotto la guida della stessa Ranzi, si librano sulle sonorità intessute da Demetrio Castellucci.
Un formato spettacolare ibrido che interessa le arti sceniche odierne in cui si riabilita la figura stessa dello spettatore, riconsiderando modi e forme attraverso cui il teatro e l’arte in generale possono insegnarci qualcosa. Così come può insegnarci sempre qualcosa la poetessa nel ricordarci, nonostante «le tele di ragno» intessute da noi e per noi, la bellezza dell’attaccamento alla vita, meravigliosamente incastrati in quella «sensazione di durare troppo e non riuscire a spegnersi».                                                                        L’appuntamento serale viene accolto dall’esterno dell’Arsenale di Venezia, sulle cui pareti affacciate sull’acqua è proiettata una costellazione suggestiva di meduse che valorizzano il colore blu. Proseguendo, la platea può scegliere di seguire lo spettacolo in piedi o su comode poltroncine, mentre i performer si esibiscono su un lungo palco rosso su cui si innalza una grande struttura di pannelli in legno e in cui si trova la consolle del compositore.

Così, mentre ci facciamo percorrere dalle vertigini che fendono il petto grazie ai testi di poetica e disturbante quotidianità di Merini e alle voci di Asia Argento e Galatea Ranzi, lasciamo anche che lo sguardo si perda, leggero, nell’osservazione di storiche riproduzioni filmiche stagliate sulla parete in pietra, presi per mano dai riverberi dei suoni che Castellucci è capace di creare e che sottolineano sia inquietudini interiori che folgoranti evocazioni. Una performance, dunque, di ombre e di luci, che accompagna verso le sponde dell’inconscio e fa sperimentare molteplici frammenti personali insieme agli altri.


UNA FORESTA 

di Olmo Missaglia 
interpretazione e co-scrittura Lea Chanteau, Michele De Luca, Mizuki Kondo, Romain Pigneul                                                                                                                    drammaturgia e collaborazione artistica Médéa Anselin
scene Justine Bougerol
disegno luci Sibylle Cabello
sostegni e residenze MoDul/bolognaprocess asbl, Théâtre des Tanneurs, Le BAMP, Centre Culturel Wolubilis, COCOF Aide à la promotion à l’étranger
dipinto Veronica De Giovanelli (stampa di un dettaglio di The remains of an archipelago, 2017)
produzione La Biennale di Venezia
tutor del progetto Stefano Ricci e Gianni Forte
con il supporto di Modul/bolognaprocess asbl, Théâtre des tanneurs, Le bamp, Centre culturel wolubilis, Cocof aide à la promotion, À l’étranger
vincitore Biennale college teatro Registi under 35 (2021-2022)

LATE HOUR SCRATCHING POETRY 

testi Alda Merini                                                                                                          reading Asia Argento (24/6), Galatea Ranzi (25/6 – 2/7), Sonia Bergamasco (3/7)                                                                                                             assistente Lilliana Massari                                                                                         soundscape + dj set Demetrio Castellucci                                                                     in collaborazione con Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”

Biennale Teatro, Venezia
25-26 luglio 2022