EDOARDO CAMILLETTI e RENZO FRANCABANDERA | Visto in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma per Roma Europa Festival e nella successiva tappa al Festival Vie presso il Teatro Bonci di Cesena, Opening Night è l’ultimo prodotto della compagnia La Veronal diretta da Marcos Morau.

EC: Con la sala ancora illuminata, da dietro lo spesso sipario del classico teatro all’italiana, una presenza tenta di uscirne allo scoperto. Appare Mònica Almirall: indossa un grande costume nero da prima attrice e ha un appariscente bouquet rosso fra le braccia, in lingua francese rivolge alla platea un lungo e sentito discorso di ringraziamento.

RF: È un ringraziamento ad ogni specifica essenza del fare teatro, dell’essere luogo dell’incontro e dello spirito, della magia che dai piccoli gesti arriva a creare mondi nascosti dell’identità. Le luci illuminano la sala, la prima attrice si inchina al palco d’onore e alle passioni che alimentano il loggione, alle americane che sorreggono le luci, l’impianto della finzione e della trasformazione dell’umanità dentro la scatola magica. La parte anteriore della platea, le prime dieci file a ridosso del palcoscenico, sono vuote, lasciate libere. Il pubblico guarda lo spettacolo con le ultime file piene, e da tutti i palchetti, con uno sguardo da teatro anatomico.

EC: Cominciando da quella che appare come una conclusione, il capovolgimento prosegue quando all’apertura del primo sipario, dietro ne troviamo un secondo, che non viene a sua volta dischiuso ma, attaccato ad un’americana, viene fatto scendere dall’alto verso il palco. Ci troviamo a tutti gli effetti nel backstage di un teatro, i tecnici smontano il telo di velluto rosso dall’americana, ormai a terra, le luci si spengono.
La lunga lista di merci si conclude rivolgendosi a coloro che si sono spinti oltre i propri limiti su questa terra svelando misteri dell’esistenza ed ispirando artiste e artisti di ogni epoca, da Euridice, a Dante, fino a Chihiro, la piccola protagonista de La Città Incantata. Proprio come nel capolavoro di Miyazaki, spente le luci prendono vita figure non prima visibili che abitano il teatro, come fossero spiriti che ne rappresentano l’essenza.

RF: Siamo nel buio della caverna platonica. In scena entrano altri danzatori che quasi si mimetizzano nel fondale oscuro della scatola teatrale. Sembra che di colpo, aprendo porte del fondo della scena, aprendo griglie dei condotti di aerazione, botole dei sistemi di generazione elettrica e di controllo dell’impianto luci, ci vogliano condurre in una sorta di poetico disvelamento della macchina, della sua essenza profonda, finanche oscura. Un performer mentre il secondo sipario dall’alto cala al livello del palcoscenico, se ne trascina addosso un altro, muovendolo come un burattino, e tale sembra, abbandonato all’esercizio biomeccanico più puro. Poi dietro le forze della danza in gesti di fortuita dissoluzione dell’identità sulle musiche delle Fantas Variation for Voices di Caterina Barbieri. Sonorità corali che si intrecciano a distonie, mentre i passi si fanno ora coordinati e perfetti come quelli di un tango, ora liberi e staccati, a ricordare le angoscianti figure dei primi lavori onirico-surreali dei primi Peeping Tom.

EC: La drammaturgia si dispiega in una successione di quadri coreografici che vanno a costruire una dichiarata ode al teatro: le minuzie tecniche, la sua matericità, le pratiche e le profondità di spirito, ma anche i cliché e le sue brutture. Molte le immagini bellissime ed efficaci, altrettanti sono i richiami ad alcuni dei momenti più importanti della storia della performance dell’ultimo secolo, senza mai limitarsi alla citazione e portando sempre una rielaborazione personale ed innovativa. Spicca in questo senso una delle scene più riuscite dello spettacolo, dove l’eccezionale Lorena Nogal, presenza fissa da anni in compagnia, muove ed è mossa da delle sedie nere che non possono non far pensare al Café Müller di Pina Bausch.

RF: Sono diverse le citazioni che Morau impasta in questa creazione, o che all’appassionato appaiono riconoscibili in tessuto formale comunque compatto e coreograficamente coerente affidato a danzatori di primissimo livello, capaci di padroneggiare ogni movenza.
I loro passi si affidano a una colonna sonora poetica che fonde i classici e le reinterpretazioni contemporanee, esattamente come il coreografo fa con i gesti e le immagini della scena, mentre dalla Barbieri si passa a In a Landscape di Cage, o il meraviglioso Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit, in quella che appare la trascrizione a quattro mani dei Kurtág. Ad un certo punto questa ricorsa al senso del teatro, all’apparire e scomparire dei suoi spiriti, che gli interpreti abitano, si sposta nella platea vuota, e lì due danzatori si inseguono. I personaggi vengono fuori dai bauli di scena, portati in teatro da fondo platea, o dalle porte di fondo palco, dove i quadri elettrici lasciano il posto a specchi che riflettono gli interpreti e la platea, mentre alcuni personaggi mascherati con volti grandi come i personaggi di Familie Floz si muovono sulla scena, a ricordare la ricchezza di questo universo. I performer trascinano ora un piano, ora un grande masso, con quella fatica che ricorda alcune visioni di Papaioannu. Ma è tutto accennato, come in un sogno. E infatti la colonna sonora di questo momento che avvia alla conclusione è l’ouverture del Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn. Lo spettacolo cerca una sorta di uscita titanica da questa passeggiata oscura nel mistero (ora buffo ora tragico del teatro), brechtianamente interrotta di tanto in tanto dal gesto dell’accensione piena delle luci in sala, con l’escamotage di muovere qualche tasto nel quadro luci. Il fondale del teatro ad un certo punto si stacca dal fondo, e avanza verso la ribalta. Tutto si schiaccia, come sull’orizzonte degli eventi. La recita deve finire. Si torna ai pensieri parlati, alla drammaturgia verbale, che si riaggancia a quell’ode iniziale al teatro.

EC: Lo spettacolo sembra avere un posizione nuova e di naturale evoluzione, nel percorso di Marcos Morau. Il regista e coreografo ha studiato teatro e fotografia fra New York e Barcellona e solo dopo è approdato alla danza. La ricerca di corpi in contrasto con i loro movimenti naturali, di complesse costruzioni coreografiche e dei velocissimi incastri, unitamente ad un gusto estetico raffinato lo hanno imposto sulla scena internazionale. Questa volta però sembra voler abbandonare alcune cifre stilistiche che lo hanno sempre contraddistinto: le grandi scene corali, i suggestivi movimenti in canone o in sincrono qui sono assenti. La parola, che ha sempre fatto parte del suo teatro-danza, in Opening night prende il sopravvento concettuale sulla coreografia, diventa più protagonista, ma ritornando sui concetti espressi inizialmente, pur con toni sempre lirici.

RF: Dal punto di vista degli equilibri creativi, la prima parte delicata e poetica di indagine nella meccanica teatrale, la dichiarazione d’amore al luogo teatro, il corpo della creazione coreografica sembra un delicato e armonico tributo al luogo e ai suoi segreti, incapaci di svelarsi completamente.
L’ideale seconda parte cerca una fragile e acuta solennità, in cui il già detto ritorna, più grande, più magnificente, ma a conti fatti già chiaro allo sguardo dello spettatore e dunque, dal punto di vista semantico, non nuovo, barocco. È come se ad un certo punto questo sistema di segni, superi la misura della necessità, entrando in quella dell’autoriferimento.
Parliamo in ogni caso di una notevole creazione, affidata ad un gruppo di interpreti straordinario e ad un coreografo giovane e già capace di manovrare la macchina scenica con assoluta padronanza.

 

OPENING NIGHT

Idea, direzione artistica e design: Marcos Morau
Coreografia: Marcos Morau in collaborazione con i performer
Performer: Mònica Almirall, Valentin Goniot, Núria Navarra, Lorena Nogal, Shay Partush, Marina Rodríguez
Testo: Carmina S. Belda, Violeta Gil, Celso Giménez
Assistente alla regia: Mònica Almirall
Consulenze artistiche: Roberto Fratini
Direzione tecnica: David Pascual
Light designer: Bernat Jansà
Direttore di scena, macchinari ed effetti speciali: David Pascual
Sound design: Juan Cristóbal Saavedra
Scenografia: Max Glaenzel
Costume design: Sílvia Delagneau
Sartoria: Mª Carmen Soriano
Maschere: Juan Serrano – Gadget Efectos Especiales

Produzione e logistica: Cristina Goñi
Gestione della produzione: Juan Manuel Gil Galindo
Co-produzione: La Veronal, Teatre Nacional de Catalunya, Centro de Cultura Contemporánea Condeduque e Romaeuropa Festival
Con il supporto di: INAEM – Ministerio de Cultura y Deporte de España ICEC – Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya