wonder“Imbraccia la tua arma”: è con questa esortazione che si è aperto il 26 novembre a Brescia Wonderland Festival. Certo, il suo direttore artistico – Davide D’Antonio – non poteva immaginare a fine 2014 (data in cui il progetto è stato depositato al Ministero per i Beni e le Attività culturali) che dopo pochi mesi Parigi sarebbe stata colpita così duramente dagli attacchi terroristici. L’ultimo di questi, a due settimane dall’inizio del Festival.

L’esortazione risuona ancora più forte, non solo perché vive del riverbero di quei giorni ma anche perché si accompagna (vedi sopra) ad un’immagine altrettanto provocatoria, ovvero quella di un soldato russo che in mezzo alle macerie, Kalashnikov in spalla, suona un pianoforte. Guardando la locandina, l’occhio segue l’arma di quell’uomo per posarsi infine sulla tastiera. L’imperativo iniziale si trasforma allora in una domanda: “quale arma imbracciare?”.

Partendo proprio da un’altra provocazione –  questa volta di Peter Brook –  secondo cui “voler affrontare la guerra con il teatro è come voler andare in battaglia con i tacchi a spillo”, Wonderland desidera interrogare e interrogarsi sulla posizione del cittadino nelle guerre pubbliche e private della nostra epoca, nella convinzione che l’individuo è il nuovo territorio di una guerra che si combatte fuori e dentro di lui. Ma qual è il posto dell’arte in tutto questo? Che arma è la Cultura?

Per Davide D’Antonio non c’è alcun dubbio, «l’arte deve mettere il dito nella piaga», nelle piaghe del nostro tempo. Deve essere quel dito capace di aprire sempre nuove questioni, di non lasciarci “seduti” sulle nostre posizioni, di aprirci alla differenza. La Cultura è pertanto un’arma “pericolosa”, anche per chi la impugna. Di cultura si può anche morire. Il Festival inizia infatti con Donna non rieducabile di Stefano Massini, ovvero il ritratto di un’eroina dei nostri tempi: Anna Politkovskaja, morta per la libertà di pensiero e di informazione, interpretata a Brescia da un’intensa Elena Arvigo.

Inoltre, considerando come il tema del conflitto si stia spostando sempre di più dal corpo sociale/pubblico a quello intimo/privato, accanto a spettacoli più marcatamente di teatro civile come Ingannati di Narramondo sul conflitto israelo-palestinese (tratto da “Uomini sotto il sole” di  G. Kanafani) e a performance come Casher#1 di C&C Company che alludono esplicitamente attentati parigini, Wonderland ha dedicato in questi due lunghi week-end (dal 26 novembre al 06 dicembre) una riflessione più circoscritta al microcosmo delle relazioni umane. Da una parte spuntano la micro-cellula rappresentata dalla “coppia” e i suoi giochi al massacro: la bravissima Licia Lanera di Fibre Parallele racconta in 2. (due) una storia di guerra all’interno della coppia, in cui lei ammazza lui per averla lasciata per un altro. Dall’altra Silvia Calderoni di Motus in MDLSX ricentra il tema del conflitto nel micro/macro perimetro del proprio corpo, mescolando riferimenti autobiografici e finzione per esplorare l’idea di confine e appartenenza (vi invitiamo a leggere il precedente articolo di Francesca Giuliani). La drammaturgia è ricca di evocazioni letterarie, da Gender Trouble e Undoing Gender di J. Butler, “A Cyborg Manifesto” di D. Haraway, al “Manifesto Contra-Sexual” di P. B. Preciado, ma la ricchezza maggiore è proprio questo inno spregiudicato a essere e divenire che si consuma in un affondo a tutte le nostre “monadi”.

Non meno impegnato e impegnativo il naufragio spirituale raccontato in Noosfera Titanic da Roberto Latini, che convoca noi tutti a questa grande festa sul famoso Transatlantico. Festa ormai finita, ma dove si continua a suonare e risuonare l’ultimo valzer. Gli fa da contraltare Ommioddio di Francesca Franzé che declina in toni farseschi un altro spaesamento spirituale, quello di una donna anziana e di un alieno che fanno i conti con la fine del mondo.

A Wonderland non sono mancati anche degli sguardi d’Oltralpe e d’Oltremanica. Nello specifico, le due compagnie austriache Cie Laroque e Editta Braun Company hanno presentato rispettivamente in prima nazionale DemoCrazy, how to peel an onion without crying e Currently Resident. Il primo è un affresco pungente e dissacrante sui meccanismi democratici all’interno di un’Unione Europea ancora molto fragile; il secondo si interroga sugli effetti che la mobilità globale produce sull’essere umano. A chiudere il Festival invece è stata la drammaturgia britannica con due interessanti appuntamenti:  Each of us, il monologo di e con Ben Moor – vero e proprio one-night-stand – e Tre Desideri sempre di Ben Moor, una commedia irriverente e divertita sulla perdita delle speranze da parte dei giovani in questo ultimo decennio, portata in scena da Bottega Rosenguild.

wonderland2015Questa ricca programmazione che ha ospitato inoltre una tappa di NdN, Network drammaturgia nuova (con la lettura dei cinque testi finalisti) e Wonderland Critic, un progetto che ha coinvolto anche l’Università cattolica di Brescia, ha cercato secondo noi di abbracciare e declinare in modo coraggioso e mai banale (tanto banale può essere il male) un tema così complesso e difficile come quello della Cultura come arma, senza o con i tacchi a spillo. Cultura che è da sempre terreno di alterità e differenza.

Ci piacerebbe quindi chiudere questo volo di ricognizione con alcune parole di Artaud, da Il teatro e il suo doppio: “la cosa più urgente non mi sembra dunque difendere una cultura la cui esistenza non ha mai salvato nessuno dall’ansia di vivere meglio e di avere fame, ma estrarre da ciò che chiamiamo cultura, delle idee la cui forza di vita sia pari a quella della fame.”