Cannibali @ Nicolò Puppo
Cannibali @ Nicolò Puppo

MATTEO BRIGHENTI | Il cibo è vita, ma anche la vita è cibo, quando l’uomo è egoismo e sopraffazione. Cannibali di Kronoteatro è il passato che si ribalta nel futuro, lo stato di natura che si fa natura di uno stato in cui vige la paura: il prossimo è un nemico e non esiste il torto o la giustizia, ma soltanto il diritto di ciascuno su ogni cosa.
I cannibali del Nuovo Mondo mangiavano carne umana (la parola è la traduzione di Colombo di un termine usato dagli indigeni delle Piccole Antille), noi del Vecchio la mangiamo in senso lato, copriamo gli altri di insulti, consumiamo i loro patrimoni, facciamo guadagni illeciti, ruberie, mangerie, per l’appunto. Una guerra di tutti contro tutti, che in scena con la compagnia under35 di Albenga precipita in una lotta di generazioni al potere. Una macelleria sociale che non risparmia niente, nemmeno la riuscita dello spettacolo.
Siamo nel primo capitolo del Dittico della resa, scritto da Fiammetta Carena, che ha seguito anche il precedente di Familia_Una trilogia (2009-2012), composto da Orfani, Pater Familias e Hi Mummy. Kronoteatro è anche l’artefice di quel miracolo di pubblico e (quasi) autoproduzione che da sei anni è il “Terreni Creativi Festival” nelle serre liguri.
Due pugili in accappatoio grigio metallo separati da un arbitro, davanti a loro la maschera di un robot e una spada laser: nel colpo d’occhio iniziale c’è già tutta la bellicosità della cifra stilistica e poetica che si ripeterà sul ring immaginario del palcoscenico.
Sotto i due accappatoi ci sono Tommaso Bianco e Maurizio Sguotti, che giocheranno l’eterno conflitto tra il giovane e l’adulto, l’immaturo e il maturo, coppie di opposti che si attraggono per malvagità e malizia, fondamentalmente per distruggersi, annientarsi. Sullo schermo alle loro spalle una Sila paradisiaca, scoperta per caso su YouTube, si alterna a un manga originale che racconta quello che le parole non dicono, come una radiografia che scavi nelle velleità giovanili più nascoste, e poi le pubblicità, perché i due hanno l’aria di chi compra tutto da chiunque.
L’arbitro è Alex Nesti, che va a una consolle a lato, da cui gestirà la musica, le luci e i ‘cambi scena’, dicendo “buio” e “luce”, anche se sono a vista e la scena è sempre la stessa ovvero due poltrone con cui Bianco e Sguotti camminano, si spostano, e ora si siedono di fronte, ora di lato, ora accanto.

Foto di Nicolò Puppo
Foto di Nicolò Puppo

Così, Cannibali procede per round, quadri distinti e staccati che non aiutano ad andare a fondo nelle dinamiche relazionali tra i boxeur del quotidiano. In famiglia, a casa, sul lavoro, lo scontro comincia, si sviluppa, ma al momento della resa dei conti, del colpo del ko, si ferma e loro tornano allo stadio iniziale del conflitto, l’angolo da cui ripartono per l’assalto successivo. Cambiano e si scambiano continuamente le posizioni, ma le frasi che si dicono si assommano come i prodotti reclamizzati, con indifferenza e distacco.
I personaggi, o meglio, le maschere agite in scena, quindi, non hanno un vero dialogo, che nel confronto le modifichi o alteri: ciò che erano, rimangono. Tommaso Bianco e Maurizio Sguotti sono azioni senza intenzioni, stanno lì, non hanno un’evoluzione, fosse pure per il semplice fatto di esserci e vedersi e toccarsi.
Il racconto del presente in Cannibali è dunque un tratto che appena accennato si cancella, come le traiettorie disegnate con le poltrone, e la violenza sembra più quella tutta muscoli e immagine del wrestling che quella viscerale e concreta del pugilato. L’impegno, la forza e la determinazione profusi sul palco meriterebbero altro: un disegno drammaturgico più unitario, compatto e calibrato anche sulla psicologia dei caratteri e non solo sugli istinti, e una visione registica (lo spettacolo è diretto dallo stesso Sguotti) agganciata ai moti emotivi e alla loro deflagrazione in scena e non concentrata unicamente sull’orchestrazione di corpi in movimento.
Il giovane è una furia sanguigna, sa quello che non è riuscito a diventare e la rabbia trascende anche la ribellione, mentre l’adulto è più celebrale, il suo problema è quello che è diventato e non può che aspettare l’errore dell’altro per colpire. Partito da tematiche generazionali, Cannibali arriva alla fine a negarle, mostrando che potere e sudditanza non sono legati all’età, ma all’umanità stessa delle relazioni. Per questo, se prima era Sguotti a prevalere su Bianco, adesso è Bianco a prevaricare Sguotti. Le parti possono essere perfettamente invertite e il risultato resta invariato, seguendo la dialettica signoria-servitù di cui parlava già Hegel: il servo preferisce rinunciare alla propria indipendenza pur di salvarsi, ma, lavorando, dà al padrone il sostentamento necessario per vivere; quindi, non potendo fare a meno di lui, il padrone finisce per diventare servo del suo servo.
Il mondo gira, la subordinazione si rovescia, e noi non possiamo che mangiarci: la legge della fame non conosce ragione.

Cannibali
di Fiammetta Carena
regia Maurizio Sguotti
in scena Tommaso Bianco, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
scene e costumi Francesca Marsella
videoanimazioni Fabio Ramiro Rossin
musiche MaNu!
disegno luci Amerigo Anfossi
voci registrate Licia Lanera, Riccardo Spagnulo
fotografie Nicolò Puppo
si ringraziano Nicoletta Bernardini, Francesco Gigliotti per la concessione del video “La Sila”
produzione Kronoteatro
Visto venerdì 11 dicembre 2015 al Teatro Cantiere Florida, Firenze.