Il Furioso (2) @ Francesco Pititto
Il Furioso (2) @ Francesco Pititto

MATTEO BRIGHENTI | A teatro una voce registrata solitamente chiede di spegnere i telefoni cellulari. Per non interrompere l’attenzione del pubblico e la concentrazione degli attori, ma anche perché la nostra vita fuori non deve entrare in sala: il palcoscenico necessita l’esclusione dal mondo, altrimenti la sostituzione della realtà con la finzione non accade. Sul muro esterno al Tempio di cremazione di Valera, un chilometro a ovest di Parma, un avviso invita a non lasciare i propri valori in macchina. Per non subire furti (povero il mondo che lucra sul dolore), ma, dato che Lenz Fondazione ha ambientato là dentro Il Furioso (2), quel cartello può essere letto anche come la richiesta di entrare così come realmente siamo nei nuovi e ultimi episodi del progetto biennale di Francesco Pititto e Maria Federica Maestri sull’Orlando Furioso nel suo 500° anniversario. Quindi, la finzione secondo Lenz non nasce per esclusione e sostituzione, bensì per inclusione e contaminazione con la realtà: l’una avviene contemporaneamente all’altra, perché c’è l’altra. Allo stesso modo della recitazione degli attori, che succede insieme alla loro ‘sensibilità’, cioè disabilità psichica o intellettiva.
Dopo i primi quattro capitoli de Il Furioso (1), #1 La Fuga e #2 L’Isola, #3 L’Uomo e #4 Il Palazzo, il paladino Orlando si dipana ora tra 5# L’Illusione, 6# La Follia, 7# La Morte e 8# La Luna in un’arcaica e al tempo stesso avveniristica messinscena di una furia amorosa incessante, epica amara senza fine, come il porticato del recinto dell’imponente architettura costruita dal 2006 al 2009, che sarà completato negli anni con gli accrescimenti del cimitero e avvolgerà l’attraversamento in un percorso infinito.
Dal parcheggio, posto sul lato più stretto, entriamo in un’area all’aperto punteggiata da quattro grandi aiuole quadrate, distanziate quanto basta a tracciare per terra una croce di ghiaia. Non è un simbolo, è geometria: in tutti i 4400 metri quadrati del Tempio di cremazione non ci sono immagini religiose, siamo tutti uguali di fronte all’ultimo viaggio.
Orlando compare da dietro una delle colonne all’ingresso vestito come un becchino o uno steward delle nuvole, il casco da pugile e niente guantoni, adesso è armato solo di immaginazione, e ferma, salda rabbia (installazione, elementi plastici e regia di Maria Federica Maestri). Davanti a lui, nelle aiuole adiacenti, due figure sedute sull’erba ci danno le spalle.
Il paladino cristiano racconta di Angelica che non lo ama, perché desidera il saraceno Medoro. È un’illusione l’amore, ma ancor di più lo è la speranza, che lei gli dica sì. Siamo sulla soglia della pazzia di Orlando, parla di sé come se fosse un altro, dice tutto quello che fa con effetto straniante e dolente, le proiezioni su tutta quanta l’estensione della mastodontica facciata (drammaturgia, imagoturgia e scene filmiche di Francesco Pititto) sono la manifestazione di una solitudine acuita dalla perdita della ragione, e quindi cosmica, assoluta. In cielo un’unica stella annuncia il buio, mentre il tramonto scolora nel cielo reso bianco dal caldo.
Ariosto racconta che Angelica e Medoro incidono sugli alberi di un bosco scritte che celebrano il loro amore. Ne Il Furioso (2) anche questo non è reale, è solo un’allucinazione dell’amore frustrato di Orlando, tanto che a parlargli è proprio un albero, che lui vede con le fattezze di Angelica: la donna ripete il nome suo e dell’amante e poi scappa da Medoro sul letto dell’aiuola di sinistra. Il rigore e la cura delle atmosfere rapiscono e incantano (musica di Andrea Azzali).
Sono stesi, sembrano morti, Orlando sostiene invece stiano facendo l’amore. Il buio cala su di noi come la follia sugli occhi del paladino, mente Rinaldo lo chiama per un banchetto nel Palazzo, cioè il Tempio, su cui viene proiettata una gigantesca bocca.
La figura sull’aiuola di destra è Bradamante, la guerriera cristiana con la grande treccia che vuole essere donna e abbraccia il suo Ruggero, cavaliere pagano erede del troiano Ettore, sempre e solo in video. Il Furioso (2) è l’impossibilità di essere ciò che si vuole.
Come un fiume silenzioso e austero seguiamo i personaggi dentro il Tempio. Siamo ombre, anche noi, nel proiettore e nelle luci di taglio sul giardino. Del resto, come si dice nel Macbeth, l’altro debutto di Lenz di questi giorni, “la vita non è che un’ombra che cammina”.

Foto di Francesco Pititto
Foto di Francesco Pititto

Nella Sala del commiato uomini in nero combattono roteando come dervisci, mentre noi, da sparsi che eravamo, ci sediamo su due file di sedie parallele, sui lati lunghi della struttura. C’è un senso indicibile di fine del mondo.
Alcuni attori rimangono in piedi dietro di noi, una di loro, invece, mi è seduta accanto. È una donna anziana, velata di nero, una sposa della morte. Si scopre che è Isabella quando il suo amato Zerbino la invoca dall’ambone, dal quale di solito i cari danno l’ultimo saluto ai loro defunti. Sul soffitto si apre un lucernario, l’occhio di un qualche dio che osserva non visto il compiersi degli eventi.
Tutti si rincorrono, Orlando-Rinaldo-Angelica, Bradamante-Ruggero, Isabella-Zerbino, e tutti sono inseguiti dalla morte, che è dappertutto e arriva ovunque, come il bianco delle proiezioni. Non c’è modo di sfuggirle.
Bradamante raccoglie così il velo nero lasciato da Isabella e scappa fuori dalla Sala. La seguono e la seguiamo attraverso la Sala macchine del crematorio, con bare vere come quella del signor Giuseppe fornita dalle Onoranze Funebri Le Valli. Nessuno scandalo o vilipendio nel farne per la prima volta ‘scenografia’, perché la morte è di per sé teatro, come la vita: alla destra della sala si trova infatti una piccola stanza in cui è montato uno schermo per assistere, su richiesta, all’ingresso della salma nel forno.
Un portellone si chiude cigolando alle nostre spalle e ci ritroviamo con un nodo alla gola nel retro del Tempio, nel Giardino di aspersione delle ceneri. Quattro specchi d’acqua, al centro una sorta di fontana progettata per disperdere le ceneri nel sottosuolo, avelli in fondo al giardino, dietro di loro il cinerario comune. Qui sopra vengono proiettati i crateri della Luna, dove Astolfo va in cerca del senno smarrito da Orlando.
Ariosto allestisce una fiera delle vanità responsabili della perdita dell’intelletto della maggior parte degli uomini: l’allegoria di vizi e debolezze si unisce a considerazioni sulla caducità della vita e sulla futilità delle aspirazioni, come quelle di Orlando. Sulla Luna de Il Furioso (2) tutte le coppie si ricongiungono, Bradamante con Ruggero, Zerbino con Isabella, l’amore si compie da morti, nel per sempre dell’aldilà.
Paladini e donne in fuga non si riconoscono l’un l’altro se non nel reciproco tra-passo: da vivi c’è spazio esclusivamente per l’ossessione, l’incubo, la follia che è la continua, pervicace e mai soddisfatta tensione verso l’irraggiungibile.
Tornati sulla Terra, fluttuiamo in una gravità diversa da quella di quando siamo partiti. Il Furioso (2) si è compiuto con dolore e dolcezza e noi restiamo come incerti e sospesi: la bellezza allora serve a ingannare, l’amore non dà la felicità. Reale è l’oscurità che ci inghiotte e che solo i lumicini delle tombe rischiarano. “La vita non è che un’ombra che cammina”.

Per approfondire, leggi anche:
Sergio Lo Gatto, “Lenz, tra Il Furioso e Macbeth. Spettatori sensibili”, Teatro e Critica.
Giulio Sonno, “Il peso della consapevolezza: a Natura Dèi Teatri debutta il MacBeth di Lenz”, Paper street.


IL FURIOSO (2)

#5 L’illusione #6 La Follia #7 La Morte #8 La Luna
dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
Drammaturgia | imagoturgia | scene filmiche | Francesco Pititto
Installazione | elementi plastici | regia | Maria Federica Maestri
Musica | Andrea Azzali
Performer | Walter Bastiani, Frank Berzieri, Marco Cavellini, Massimiliano Cavezzi, Carlo Destro,
Paolo Maccini, Delfina Rivieri, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera
Direzione tecnica | Alice Scartapacchio
Cura | Elena Sorbi Organizzazione | Ilaria Stocchi
Comunicazione | Valeria Borelli Ufficio stampa | Michele Pascarella
Tecnici | Lucia Manghi, Stefano Glielmi, Marco Cavellini Assistente | Roberto Riseri
Produzione | Lenz Fondazione
Progetto realizzato con il sostegno di DAISM-DP Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale
Dipendenze Patologiche AUSL di Parma
In collaborazione con So.Crem Società per la Cremazione | Ser-Cim Servizi Cimiteriali
I progetti di Lenz Fondazione sono realizzati con il sostegno di: MiBact | Regione Emilia-Romagna Comune di Parma | Provincia di Parma | Fondazione Monte di Parma | Università degli Studi di Parma Chiesi Farmaceutici | Festival Verdi
Visto sabato 25 giugno nel Tempio di cremazione di Valera, Parma, all’interno di Natura Dèi Teatri 2016.