_MG_6506 copia copy- WEBLAURA NOVELLI | Un corpo inerme adagiato su un tavolino di marmo e coperto da un telo bianco. Un corpo morto. O dormiente. Un corpo che sogna la sua stessa morte. Che parlerà, destatosi da quel sonno, post mortem. Balbettando. Tentando un dire che all’inizio appare impossibile, faticoso, intermittente. La signorina Else di Federico Tiezzi, visto nell’ambito del Pistoia Teatro Festival e in replica fino al 2 luglio, è uno struggente dirupo del linguaggio: l’aldilà di un’anima parlante che torna tra i vivi per raccontare la sua storia con la consapevolezza, lucida e al contempo misteriosa, di non essere più qui. O di non esserci mai stata.

Mirabilmente tradotto da Sandro Lombardi, che ne cura anche la drammaturgia insieme con Fabrizio Sinisi e lo stesso Tiezzi, il romanzo di Arthur Schnitzler (1923) rifulge come un capolavoro di psicanalisi freudiana in odore di possibili quanto caparbi rimandi alla scrittura di Bernhard, Joyce, Kafka, Ibsen, Pirandello, Beckett. e appare attraversato da una modernità, sia in termini stilistici sia contenutistici, davvero impressionante.

Nel lavoro del regista toscano (di nuovo alle prese con l’autore viennese dopo Il pappagallo verde e il fortunato Ritorno di Casanova) la forza del testo si coniuga poi con due elementi essenziali che ne amplificano la portata contemporanea. Il primo è la scelta di un luogo sospeso in un tempo “altro” ma quanto mai significativo: mi riferisco al Teatro Anatomico dell’antico Spedale del Ceppo, piccolo gioiello di architettura settecentesca fatto costruire dal Granduca Pietro Leopoldo tra il 1770 e il 1780 dietro la struttura ospedaliera omonima e che, totalmente affrescato e addobbato di fregi e bassorilievi,  fu concepito come un vera e propria “aula della visione” in cui tenere lezioni ed ostensioni anatomiche per i pochi studenti di chirurgia dell’epoca.

Il secondo elemento riguarda invece la regia stessa, che fa leva su un espressionismo sobrio ma puntuale dove precipitano molte eco di altri lavori di Tiezzi e su una prova attoriale a due voci davvero eccellente. Nei panni della giovane viennese in vacanza a San Martino di Castrozza con la zia, e costretta suo malgrado a sperimentare sulla propria pelle il perbenismo e la decadenza di una società (e soprattutto del suo statuto costituivo, ovverosia la famiglia) ormai in declino, c’è Lucrezia Guidone: attrice poco più che trentenne formatasi all’Accademia Silvio D’Amico e poi al Centro Santa Cristina di Ronconi (ricordo che mi colpì molto nel ruolo della figliastra in In cerca d’autore. Studio sui sei personaggi, così come nei momenti laboratoriali accorpati nel bel dvd La scuola d’estate) che con Tiezzi ha già lavorato nel Calderòn e che qui conferma il suo energico, sensibile talento. Accanto a lei, Martino D’Amico veste i panni di un von Dorsday asciutto, pacato, razionale, composto, che ben controbilancia il tormento instabile della protagonista. E’ lui, quel facoltoso villeggiante dall’aria così poco simpatica, l’uomo che Else, sollecitata per lettera dalla madre, dovrà convincere e sedurre al fine di scongiurare una bancarotta familiare.

La posta in gioco è troppo alta per lei. Sebbene sia un’affascinante tredicenne non scevra da mature pulsioni erotiche, ciò che von Dorsday le chiede in cambio (poterla contemplare nuda) avrà un effetto devastante sulla sua fragile anima di adolescente in formazione. Non è un caso che, una volta entrati in quella piccola “cappella” circolare preposta al rito di questa vivisezione psichica, ci ritroviamo così vicini agli interpreti da sentirne ogni più sottile e delicato respiro. Siamo appena in venticinque. Lo spazio non permette di accogliere un solo spettatore di più ma sembriamo tanti. Probabilmente per l’energia che l’insieme di luogo, musica (eseguita dal vivo da bravissimi giovani allievi del Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze), luci, pavimentazione (un prato verde brillante all’ingresso e lastre di specchio dentro il teatro anatomico vero e proprio) suggerisce ed emana. Else è quel corpo inerme di cui dicevo all’inizio. E’ lo stesso von Dorsday/D’Amico a scoprire il cadavere, tirando via il lenzuolo bianco che lo riveste. Un uomo con testa di coccodrillo, mascherato di ferocia e crudeltà come fosse una personificazione del teatro medievale; o meglio un richiamo avanguardistico/dadaista all’imbestialirsi della coscienza umana (e sempre maschere di coccodrillo Tiezzi aveva messo in testa ai quattro personaggi del suo pirandelliano Non si sa come di qualche anno fa).

La vittima si risveglia. Il linguaggio inciampa. Rischia l’afasia. Poi si ricompone in un senso-non senso che è il senso “profondo” della verità  personale. In questo balbettio trasognato (Che cosa…? Che cosa succede? Che…?  Io? Dove… ? Ah, ecco… Dormivo? Sì, certo: dormito. E forse anche sognato. Dormire, sognare…Oh Dio, Dio! Ma… dove sono stata? Lontano, penso – molto lontano. Morta? Sì, sognato di essere morta – mi sembra. Morta. Era bello: non aver più problemi di sorta. Morta. Trentamila fiorini, trentamila fiorini, trentamila. No, cinquantamila… Cinquantamila, cinquanta. Non li ho, non li ho. Guadagnarli. E come? Come? Magari a piedi fino al cimitero, così mia madre si risparmia le spese del funerale. Economia! Dorsday aspetta mia decisione. «No, signor Dorsday, la mia risposta è no». Eccoci: a fissarci negli occhi. Nemici mortali), Else/Guidone ricapitola tanto teatro e tanta letteratura del Novecento. Anticipa subito il tema della lettera, la richiesta che i genitori le faranno, il suo disagio. I suoi pensieri diventano battute. Si sommano e sovrappongono tra loro fino a confondersi. Realtà e visione intima stabiliscono un confine labile, ambiguo. Mi viene in mente Doppio sogno, sempre di Schnitzler.

Ogni tanto il reale si fa prepotente: il tennis, il cugino Paul, l’attrazione innescatasi tra due suoi coetanei, il desiderio di un paio di calze di seta nuove e un marito che la ami. Ammesso che l’amore esista. Quella lettera la inchioda però ad un imperativo etico di cui non riesca a liberarsi. E l’attrice è bravissima nel passare da uno stato emotivo all’altro, dal sorriso al pianto, da una 1020 copia copy- WEBcoraggiosa risolutezza a un tremolio quasi infantile. Parla con von Dorsday e qualche istante dopo recita il sottotesto della sua anima. Si avvicina al pubblico continuamente. Lo tocca. Lo guarda con occhi espressivi e lucidi. Nulla insomma avviene qui in linea cronologica o logica, proprio come nel celebre monologo di Molly Bloom spesso trasposto sulle nostre scene. E anche come succedeva in quell’intenso assolo del 2009, La notte di Beate, che Gianfranco Fiore aveva scritto per Anna Bonaiuto ispirandosi a Beate e suo figlio. Ancora Schnitzler. Anche lì una donna ai ferri corti con la propria coscienza, uno specchio molto grande sul fondo della scena, certe pulsioni di morte contro-natura. E infine il doppio omicidio-suicidio suo e del figlio. Come in un grido sordo che decreta il disfacimento di ogni possibile equilibrio tra Eros e Thanatos e – tanto più – la fine di quel cuore etico dell’umanità che abbiamo smarrito da secoli. Non credo sia un caso che l’epilogo di questa Signorina Else pistoiese richiami Alice nel paese delle meraviglie di Carroll. Il corpo morto due volte di Else è un po’ la bambina smarrita nel suo altrove. Un’altra Else. Un’altra sé. Così come non credo sia un caso neppure il fatto che la prossima regia di Tiezzi sia un’Antigone di Sofocle. Risiede in fondo nel dramma tutto femminile della figlia di Edipo  – il conflitto tra la legge dei sentimenti e la legge sociale – il primo germe del dramma della giovane viennese.

 

LA SIGNORINA ELSE

di Arthur Schnitzler

traduzione di Sandro Lombardi

drammaturgia di Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi

regia di Federico Tiezzi

scena di Gregorio Zurla

costumi di Giovanna Buzzi

con

Lucrezia Guidone

e Martino D’Amico

accompagnamento di musica dal vivo

in collaborazione con

Conservatorio di Musica Luigi Cherubini, Firenze

produzione

Compagnia Lombardi – Tiezzi

Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale

con il sostegno di Regione Toscana e Ministero dei Beni e delle Attività

Culturali e del Turismo

“Pistoia Teatro Festival”

in occasione di Pistoia Capitale della Cultura 2017

Teatro Anatomico Spedale del Ceppo

dal 13 giugno al 2 luglio 2017 alle 21.00