SILVIA ALBANESE | Bologna, 09.03.19
A partire da oggi decido di dare forma a due pratiche assidue e costanti della mia vita: la scrittura di un diario e la partecipazione a eventi, esperienze, spettacoli. La mia passione per la scrittura e quella per le arti performative contemporanee si incontrano nell’esperimento di una nuova pratica, nella ricerca di una forma attraverso cui sia possibile condividere e comunicare emozioni e visioni. Si tratta di un tentativo, un esercizio, ma soprattutto di un gioco, i cui postulati provvisori sono qui espressi in 30 punti.

Diario 2012, Torino
  1. L’interesse è verso le pratiche artistiche da cui si genera una riflessione sul corpo.
  2. Scrivere un diario genera benessere.
  3. Il diario permette l’immersione.
  4. Il principio è la relazione.
  5. Tra un’opera o una pratica artistica e chi la osserva o vi partecipa, si genera sempre un dialogo.
  6. In assenza di dialogo l’opera è muta, o è morta.
  7. Non mi interessa se Lotman non è di moda, io penso alla biosfera e alla semiosfera.
  8. Nel dialogo, il pensiero genera un discorso interno.
  9. Talvolta si possono mettere le parole dove non ci sono.
  10. Al movimento esterno corrisponde sempre un movimento interno.
  11. Non sei separata da ciò che vedi.
  12. Lo stimolo di dirmi, non voglio buttarlo.
  13. Il diario si scrive da sempre, e non si smette mai.
  14. Il diario permette di condividere esperienze e visioni.
  15. Il diario permette di comunicare contenuti soggettivi ed emotivi in dialogo con le esperienze e le visioni.
  16. Il diario è una sorta di amico immaginario.
  17. Il punto di vista non è quello di un critico, ma di un soggetto.
  18. Il diario crea memoria.
  19. La forma è provvisoria, transitoria, e il contenuto è in potenza, anche per chi scrive.
  20. Il diario riporta emozioni, sensazioni e sentimenti che il soggetto scopre nel processo della scrittura.
  21. Il diario permette di conoscere e riconoscersi mentre si scrive.
  22. Il diario non segue una mappa, esplora il territorio.
  23. Il diario non crea una mappa.
  24. Il punto di vista è situato e incarnato, singolare e soggettivo.
  25. La presa di coscienza assomiglia a un risveglio.
  26. L’amico immaginario si colloca su un diverso piano di realtà (o irrealtà).
  27. Il diario è frammentario, poiché si compone di una successione di istanti.
  28. La percezione visiva si compone di una sommatoria di istanti che comprendono il buio, le pause, la momentanea chiusura degli occhi come movimento involontario.
  29. Il diario qui è un journal intime.
  30. I presupposti del diario sono l’autenticità e la sincerità: non puoi nasconderti.
Pausa, 2012

Memoria #1: TRASMISSIONI

Sabato 26.01.19, Firenze, Cango

0.1.L’Arrivo

Si entra in uno spazio sacro, quando si varca la soglia di Cango, un luogo carico di memoria nel centro di Firenze, che ha ospitato Edward Gordon Craig, Tadeusz Kantor e Vittorio Gassman, prima di trasformarsi nella sede della Compagnia Virgilio Sieni e acquisire anche l’identità di Centro Nazionale di Produzione.

Per partecipare a queste giornate l’accesso è laterale, dal civico 23 di via S. Maria; il corridoio è da percorrere, la sala è da trovare, l’altro da incontrare. Ci sono oltre trenta cittadini e circa venti tra danzatori, educatori e operatori culturali, componenti del Gruppo di studio della Scuola sul gesto e il paesaggio. Le guide di questo viaggio sono Virgilio Sieni e la sua collaboratrice Giulia Mureddu.

Scopro che oggi il coreografo compie gli anni, e scopro anche che sta rileggendo La nascita della tragedia.

Mi tolgo le scarpe ed entrando insala incontro Tommaso Serratore, coreografo emergente basato a Torino, una delle mie città-radice; trovo un posto provvisorio in cui sostare, nell’attesa che il gruppo si ricomponga, dopo l’incontro del giorno precedente, che è stato il primo giorno di lavoro. Sono le 15.06, il sole riflette sulle pareti il disegno delle finestre. Gli sguardi, i piedi, le mani, l’attesa, gli arrivi, gli abbracci, le voci che rimbalzano nella sala; si crea un cerchio, dal cui interno Virgilio Sieni: …non è pura copia, capite come il movimento si organizza. Qual è il momento più complesso?

Non c’è una marca di inizio: la guida accade e il lavoro riprende dall’interno del gruppo, nella percezione di un continuum temporale, come se si riprendesse dopo un breve pausa.

Cango, Firenze, Centro Nazionale di Produzione Virgilio Sieni

0.2.La danza

Sieni realizza una partitura gestuale che il gruppo è invitato a imitare, a prendere, a fare propria, a tradurre, a mediare attraverso il corpo. La voce del coreografo segna il ritmo mentre il gruppo gradualmente si accorda alla conduzione: prova e riprova, erra, cerca la coordinazione, interpreta, raggiunge l’anima del polso

Finché il coreografo scioglie la struttura, l’emozione, il movimento, per una necessaria distensione collettiva, e per ripartire.

Guarda a sinistra non ti fissare sulla mano
Confusi ma compatti nelle vicinanze dell’altro.
La mano che sta sotto accoglie l’altra mano.
La mano che sta sopra raccoglie l’uragano che arriva.
Accogli la nuca di un altro invisibile…

E questa carezza rivolta a un altro invisibile diventa carezza per lo sguardo che osserva. Osservando questi corpi vedo la danza come cura di sé e la danza come cura dell’altro.

Come nella guida gentile di Margherita Landi, che riporta a Giuseppe, sussurrandogliele all’orecchio o facendogliele ascoltare tramite l’esplorazione del proprio corpo, quelle indicazioni di Virgilio Sieni che Giuseppe non può vedere.

Il gruppo esegue l’azione coreografica, mentre la partitura gestuale mi sussurra dentro, e comincia anche la mia danza interna, che se provo a tradurla dice così:

Resisto, afferro una stella, la lancio
(come un intento) nell’universo.
Non mi tendo, ma sospeso, avanzo esplorando.

Sguardo, 2012

0.3.La vita

Dobbiamo cadere nel movimento, dobbiamo sostare nelle situazioni. Non importa arrivare: più ci mettiamo, meglio è, dice il coreografo.

Queste parole sono una chiave che consente di accedere alla consapevolezza di misteri antichi: descrivono l’esperienza dell’essere al mondo, l’esperienza della vita, prima ancora che l’esperienza della danza.

Perché la vita in sé è una danza:un movimento perpetuo che conosce delle pause; un’esperienza che compiamo nell’interconnessione e nell’interdipendenza con gli altri e con ciò che ci circonda, con l’ambiente, con il paesaggio. La vita è qualcosa in cui cadiamo, che ci accade, e il movimento della nascita cos’è se non una caduta al mondo, più che una venuta al mondo?
E l’elogio della lentezza, della pausa, della sosta: ricordarsi che avere un obiettivo non è tanto importante alfine di raggiungerlo, bensì per ciò che orientarci nella direzione dell’obiettivo ci permette di incontrare e scoprire lungo il percorso, la conoscenza a cui ci permette di accedere, sia essa conoscenza di noi oppure di ciò che si manifesta fuori di noi. Che sia lungo il percorso, che sia lunga la vita.

0.4.Singolarità

I corpi mi parlano, alcuni hanno voci e storie che si fanno sentire più forti di altre, dicono:
… e se io mi perdo, sono la voce fuori dal coro, sono l’elemento contro tempo, la foglia contro vento, l’attimo prima di staccarsi dal ramo…
e anche se non ti vedo, io ti sento: danzo dal di dentro, danzo dal mio dentro, danzo il mio vento…

Coraggio!

Il gruppo all’unisono e con energia sostenuta lancia qualcosa: un’intenzione, un ricordo, una speranza, un sogno, un oggetto… ognuno di quei corpi privatamente conosce ciò che sta lanciando.

Io che osservo lancio di nuovo il mio intento, con queste cinquanta mani che ho adesso.

E ancora nell’osservare questa danza, mentre il gruppo solleva i gomiti, e le braccia tendono a ricadere verso il basso per effetto della gravità, mi sembra di ritrovare qualcosa dello studio sulla marionetta, cara a Sieni e a Cuticchio, ma anche a Craig.
Il semplice gesto di abbassare le braccia può essere reso molto interessante grazie alle attese, alle sospensioni: il coreografo invita il gruppo a sostare, gestire la figura senza avere fretta di arrivare subito a una forma. Lasciare che la forma si crei, o che accada, mentre nella sospensione si cerca il modo di arrivare, con l’attenzione rivolta al percorso.

Il gruppo solleva le braccia e stringe i pugni, e quando li riapre, ciascuno sente sciogliersi dentro sé un’emozione complessa.

Assistere al processo di creazione di questo avanzamento in tre fasi è come assistere alla trasformazione alchemica della realtà in bellezza.

Sul palmo della mano destra che si solleva, ci sono degli occhi: cinquanta paia d’occhi che mi guardano.

Non c’è nessun leader nel gruppo, c’è una responsabilità di procedere che è singolare, soggettiva e collettiva al contempo cerchiamo di praticare un ascolto che ci permetta di creare una complessità; cerchiamo di creare una continuità pur creando cesure e aspettando l’altro.

 

0.5.Altrove

Poi dalla sala prove si passa allo spazio scenico: qui Sieni invita il gruppo a usare l’adiacenza come momento di condivisione, connettendosi ai segnali che arrivano dalla percezione globale del corpo. L’invito è ad ascoltare le adiacenze.
Il gesto che viene trasmesso si trasforma nell’incontro con i corpi soggettivi e l’identità differenziale conferisce valore all’identità del gruppo. Si genera uno spaesamento, un altrove.

Al termine di queste due ore di lavoro, Sieni chiede al gruppo di condividere impressioni, sensazioni, e qualcuno osserva che cambiare direzione destabilizza; ascoltando queste parole penso a quel miracolo che avviene al nostro linguaggio quando la parola è connessa al corpo e muove dall’ascolto del corpo: in quei momenti peculiari il linguaggio diventa estremamente saggio, e la voce porta messaggi che sono esistenziali, che ci riguardano sempre. Non posso non ascoltare sotto questa luce anche la risposta di Sieni: si può sbagliare, ma ciò che conta è come si gestisce l’errore – che poi è l’umano errare –; l’invito è a lavorare da quella posizione apparentemente sbagliata, per ritrovarsi con l’altro. Senza furia. L’invito è a creare queste architetture mobili e sperimentarsi in direzioni diverse.