RENZO FRANCABANDERA | L’inizio del mese di marzo non era stato certo di quelli tranquilli, con il teatro coinvolto in controlli dai modi piuttosto polizieschi, che a dire il vero hanno riguardato moltissime realtà del sottobosco culturale del capoluogo lombardo. Per un luogo a suo modo votato a una pratica rigorosa ma concettualmente anarchica, è comprensibile che le tessere, il tutto in ordine con timbri, domende, certificati, è un po’ quasi un controsenso per il Teatro della Contraddizione. Ma Il Sistema ha delle regole, e così abbiamo con pazienza tutti noi spettatori aficionados, fatto le nostre brave tessere, fatto la fila per trovare la nuova dimensione fruitiva (uguale a quella di prima nella amata sala sul cui parquet si balla con Balerhaus, per dire) a cui dovremo evidentemente adattarci nel futuro.
E poi il bicchiere di vino. Ovvio.

Queste vicissitudini non hanno, comunque, smorzato l’entusiasmo del gruppo di artisti che da anni gestisce questo piccolo santuario delle arti performative, diventato punto di incontro e fucina laboratoriale per moltissimi artisti della scena di base milanese e non solo. Tanti sono ad aver mosso qui i primi passi e che ancora mantengono una sorta di fedeltà a questo “grottino dell’anima”, che ha un che di kantoriano, una sua poesia magica che hanno pochi altri teatri in Italia, percepibile appena entri: di fatto uno dei veri imperdibili luoghi del teatro a Milano.

Fra gli artisti in un certo qual modo fedeli al TdC, sicuramente vanno annoverati anche Alberto Astorri e Paola Tintinelli, che hanno debuttato di recente con il loro ultimo lavoro, Duu mort in pe, andato in scena alcuni giorni fa in prima nazionale: parliamo di una drammaturgia originale per gran parte in dialetto milanese, ma calibrata su una parola di ampia accessibilità e comprensione; la vicenda invece potrebbe ricordare alcune dinamiche di relazione beckettiane, in cui due individui si trovano in un mondo svuotato di riferimenti e rapporti umani, da cui cercano di fuggire verso un altrove salvifico.

Si tratta di un universo distopico apparentemente diviso in classi sociali, in cui gli artisti sono inevitabilmente alla stregua dei paria. A tratti sembrano due rivoluzionari in fuga, a tratti due reietti senza speranza: artisti, insomma; almeno nel senso profondo del termine, quando ancora questa circostanza in qualche modo si dà.
Quando il pubblico entra in sala, li vede già arrostire e lamentarsi su una sorta di graticola-zattera, illuminata dall’interno e da cui si levano fumi infernali. Due anime arrosto. Gli oggetti scenici frutto del genio assoluto art brut di Paola Tintinelli raccontano una sgangheratezza, un’umanità in cui l’anelito poetico si fa confine con il fragile, in cui non sai se il personaggio protagonista non aveva i soldi per comprare una chitarra normale tanto da doversene costruire una lei, ma quadrata. Simboli.

Duu mort in pe disegno Renzo Francabandera
Duu mort in pe disegno Renzo Francabandera

In questo universo ad un certo punto arrivano degli elicotteri che paiono dare la caccia a questi sparuti resistenti che provano a fuggire all’omologazione e a nascondersi ai fari indagatori stile 1999: fuga da New York (fingendosi spaventapasseri).
Fuggire, almeno in teoria. Lui, in realtà, proverà anche l’ebrezza di vendersi al nemico, ma ottenendo in cambio, come paga, un Rolex patacca. Una amara riflessione su artisti in vendita e su cosa poi realmente si ottenga a vendere l’anima al diavolo.

Lo spettacolo ha volutamente un codice vocale sostenuto, sebbene i due interpreti siano a un paio di metri di distanza l’uno dall’altro, su questa pedana instabile di tre metri per tre. I due sembrano arrabbiarsi più col destino che l’un l’altro. È un po’ uno spettacolo bestemmia, da parte di due zombie che si erano “erroneamente” votati all’arte. Bellissime le luci (ricavate da un ex night dismesso) e la traccia sonora, in parte registrata e in parte eseguita dal vivo da Paola Tintinelli percuotendo la chitarrina quadrata.

Lunghissimi e meritati gli applausi ai due interpreti, tra i protagonisti più conosciuti e sensibili della scena indipendente italiana, un duo che ha regalato pagine di commovente poetica teatrale, in continua evoluzione ma con una tensione scenica che, con le sue angoscianti scarnificazioni della parola e della presenza scenica dell’attore e dell’impianto teatrale, sta a questo decennio come Danio Manfredini sta al decennio (o forse meglio ventennio, sono d’accordo) che lo ha preceduto.

foto dal post Facebook di A. Bizzotto

 

DUU MORT IN PE
Quasi una fantasia

di e con Alberto Astorri e Paola Tintinelli

musiche Paola Tintinelli

produzione ASTORRITINTINELLIteatro