ROBERTA RESMINI | Il bello degli spettacoli di Campo Teatrale è che iniziano prima dell’entrata in scena degli attori e finiscono dopo gli applausi finali. L’attesa prima dell’apertura della sala è un momento in cui il pubblico anticipa aspettative e scambia previsioni: il momento conviviale al termine dello spettacolo diventa l’occasione per confrontare le proprie impressioni.
Nel caso de Il Buco, una creazione collettiva di Marta Annoni, Marco Colombo Bolla e Lia Gallo, il pubblico nel foyer è variegato: tanti allievi dei corsi, ma anche persone di mezza età. È proprio una coppia di mezza età ad attirare la mia curiosità e a farmi notare i barattoli in vetro adagiati su mucchietti di terra, con dentro pezzi di carta scritti e a farmi focalizzare sulla registrazione di racconti ispirati a queste parole, anticipando, in parte, ciò che si vedrà in sala.

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Difficile fare una sinossi, perché una vera storia non c’è. Lo spettacolo racconta di una relazione tra due individui, simili nella sofferenza ma diversi nel modo di affrontarla; entrambi bisognosi l’uno dell’altra. Phyleas (Marco Colombo Bolla), abbigliamento sportivo e scarponi da escursionismo (costumi di Lia Gallo e Alessandra Marina), entra in scena portando sulle spalle un bidone bianco aperto ai due lati. È la sua casa dove ogni tanto va a rifugiarsi, il suo spazio intimo, la protezione dal mondo ostile e indecifrabile che lo circonda. Ha un grosso vuoto esistenziale, che riempie attraverso l’uso della parola. Il silenzio gli crea disagio, eppure, anche quando è immerso nei suoi discorsi, il silenzio se lo sente addosso. Parla tanto, da solo, registrando promemoria, strane sensazioni, certezze e supposizioni attraverso il registratore che tiene al collo. Quando finisce le sue parole, prende i vasetti di vetro con dentro parole scritte da altri, li apre, e allora partono nuovi racconti.
Cybelle (Marta Annoni) indossa un abito bianco stracciato, come lacerata è la sua intimità, frantumato il mondo che l’attende; guantoni rossi da pugilato che usa per difendersi ed è ricoperta da inchiostro nero, come schermo che allontana chi prova a entrare in contatto con lei. Cybelle inizialmente non parla, semmai ringhia e soffia. Phyleas decide di aiutarla a far uscire il suo grido di aiuto e la provoca in vari modi: sfilandole un guanto, aprendo il vasetto delle sue parole, fino ad arrivare ad una colluttazione. Quando infine sta per rinunciare, ecco uscire uno strozzato grido di aiuto prima della confessione finale, durante la quale si scopre il ventre, si strappa il vestito e lascia vedere il buco che ha sulla pancia, nel quale è caduta e dal quale sta cercando di riemergere.

Bolla e Annoni recitano i loro monologhi interpretando l’insicurezza, l’angoscia di persone ordinarie che stanno vivendo un momento di difficoltà e lo fanno muovendosi in una scena nuda (a cura di Lucia Rho), eccetto per un bidone di latta, due mucchietti di terra con dei barattoli di vetro contenenti parole e l’enorme buco sullo sfondo, a riflettere l’interiorità dei due personaggi in scena.

Ben riuscito il nudo finale di Cybelle, perché «una volta scoperto, il buco non può più ricoprire: semmai si può tappare». È un nudo sporco di inchiostro ma allo stesso tempo elegante, perché non fine a se stesso né tantomeno ostentato. Molto brava Marta Annoni nella mimica facciale e nei movimenti, che riempiono la scena senza oscurare la presenza di Marco Colombo Bolla, grazie anche all’alternarsi delle luci gialle che dà il giusto spazio a entrambi. Il ritmo è un po’ troppo lento nella prima parte, per poi accelerare e rendere lo spettacolo più scorrevole.

È una rappresentazione che fa pensare all’importanza delle relazioni. I due personaggi sono nodi slegati, atomi che accidentalmente collidono e gradualmente stringono un legame. Solo grazie all’interazione arrivano a una sintesi e a prendere coscienza del proprio tumulto interiore, primo necessario passo per poterlo affrontare.
Si offrono, così, riflessioni più che risposte, suggerendo una vita di uscita dal buco in cui tutti, almeno una volta nella vita, siamo cascati: abbassare la guardia, fidarsi dell’altro, non avere paura di mostrare le proprie emozioni e di chiedere aiuto. In modo da non finire risucchiati dal buco, ma riconoscerlo e scovare gli spiragli di luce che ci permettono di superare le nostre piccole e grandi sofferenze e rinascere.
Buona dunque l’intuizione, ancora da raffinare i dialoghi e l’impianto drammaturgico, che risulta essere un po’ scolastico con una scarsa caratterizzazione dei personaggi e una resa, nel suo complesso, ruvida che non riesce a rendere tutta l’intensità che meriterebbe.

 

IL BUCO

creazione collettiva di Marta Annoni, Marco Colombo Bolla e Lia Gallo
in scena Marta Annoni e Marco Colombo Bolla
scene Lucia Rho
produzione Campo Teatrale e Oplà Teatro
costumi Lia Gallo e Alessandra Marina
assistente alla regia Diego Pleuteri
luci Stefano Colonna
foto Laila Pozzo

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