ANDREA ZANGARI | Bologna, anno 2019. Una rivoluzione incruenta si consuma fra le mura del piccolo e accogliente Teatro delle Moline. La critica giace spiazzata in un angolino della sala e contempla, impotente, il suo incubo avverarsi: gli artisti, microfono alla mano, s’intervistano tra di loro, parlano del proprio lavoro, problematizzano, attualizzano. E lo fanno con i loro raffinati strumenti affabulatori, divertendo e provocando. Poco o nulla possono la pagina stampata o quella virtuale, se la riflessione si ammanta delle stesse dinamiche spettacolari del suo oggetto. Si citano i maestri e il lavoro in scena, ma anche le memorie personali, le idiosincrasie interne alla compagnia, le fatiche quotidiane a far quadrare i conti di un mestiere che, si sa, non è certo dei più lucrativi. Insomma, tutto quello che avremmo sempre voluto sapere su di loro, ma non avremmo mai osato chiedere, per parafrasare il titolo di un film di Woody Allen.

Teatro-Sotterraneo

L’occasione di questa caustica sommossa scenica è Talk Show di Sotterraneo, la compagnia toscana già Premio UBU nel 2018 con lo spettacolo Overload, come d’altro canto ci ricorda compitamente Nicola Borghesi dei bolognesi Kepler-452, l’anfitrione glocal con loro in scena. Ma quello a cui assistiamo è in realtà un’inversione del format che Sotterraneo ha già proposto in diverse occasioni dal 2018, nel quale è la compagnia a porre una maglia di domande a colleghi attori, registi, coreografi, direttori artistici. Questa volta sono dunque Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa, a farsi interrogare dal padrone di casa che, come al solito, empatizza con l’uditorio grazie alla sua riconoscibile verve dimessa, alla timbrica trasognata e dialettale. Sulla scena un tappetino di erba sintetica, un tavolo con quattro sedie ed un laptop collegato in proiezione allo schermo sul fondale. Non mancano nemmeno le tazze da colazione a suggellare una scenografia homy, a metà fra una conversation piece nel salotto di casa e una conferenza.

Eppure, la proposta procede su un più sottile crinale metacomunicativo. Sin dall’incipit, con le voci fuori campo che restituiscono il dialogo scherzoso fra gli artisti prima di entrare al cospetto del pubblico, messo così in guardia sulla natura di ciò che sta per accadere. La scena si dà dunque nelle sembianze di un vero e proprio talk, ma mantiene quella profondità segnica che la distingue tanto dal dispositivo di mero intrattenimento che dal luogo della cronaca (sia pure quella specialistica), della biografia, dell’epifania del reale come rappresentazione naturalistica. Al contempo non c’è ragione di dubitare dei dati consegnatici come simboli della realtà, parametri di un’elaborazione complessa e contraddittoria. Non v’è da mettere in discussione l’accorato afflato politico, che è peraltro terreno comune per Sotterraneo e Borghesi, l’impronta civile di un modo di vivere il teatro come «scuola di intelligenza e cittadinanza». Un progetto tutto inscritto nella forma dialogata, intrinsecamente pedagogica ed agapica, che Talk show propone, ed in cui pure non viene meno quella tensione oppositiva ed irresolubile fra persona e personaggio (in una parola: il teatrale). I Sotterraneo ci tengono, per esempio, a portare il pubblico di fronte ai luoghi della loro infanzia, visualizzati a schermo grazie a GoogleMaps. Sorge spontanea, e feconda, la domanda: sono davvero quelle le case che hanno dato i natali a Bonaventura, Cirri e Villa? Dobbiamo crederlo solo per la cornice non dichiaratamente fictionaria del formato cui siamo di fronte? O non è forse vero che ogni talk show è funzione di una finzione?

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Foto Luna Cesari

Ma un crinale degno di tale nome è equidistante fra i due versanti opposti. Così distinguiamo scambi più diretti e sorgivi, alternati a gag e citazioni di lavori passati proiettate a video o performate. Il risultato è una corrente alternata di dialogo e spettacolo che mantiene viva l’attenzione del pubblico. Due modalità e due modi di vivere il tempo, il cui scorrere appare visualizzato negli orologi digitali appesi al tavolo, ostentatamente rivolti al pubblico. Si tratta, appunto, di due orologi: uno a segnare l’orario della giornata, valore assoluto che riporta all’urgenza dell’extradiegetico, l’altro a scandire il count down dei sessanta minuti che sono la durata della performance.
Si finisce così non tanto per darsi una risposta, ma per porsi davvero, nel proprio intimo, la domanda del sottotitolo: di cosa parliamo quando parliamo di spettacolo dal vivo? Un interrogativo che fa da intrigante cornice al PROGETTO SOTTERRANEO, prodotto fra vari enti e realtà emiliano-romagnole, e che porterà in scena di qui a luglio 2020 alcuni dei lavori del collettivo toscano, oltre a incontri e laboratori.

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