ANTONIO CRETELLA | Ho spesso parlato su queste pagine del sempre prolifico meccanismo di depredazione linguistica che le minoranze oppresse, di qualunque tipo esse siano, subiscono da parte degli oppressori che con essa confezionano un becero vittimismo, un infondato rovesciamento di prospettiva nel quale ogni faticosa conquista in termini di diritti da parte di chi si trova in stato di minorità è vista come attentato a chi quei diritti già li possiede in forma di privilegio, oppure si rovescia la colpa dell’oppressore sull’oppresso nel tentativo di trasformare l’offesa in legittima difesa. Di costrutti del genere – che avvelenano il dibattito pubblico sostenuti dal puntello nauseabondo del politicamente corretto – se ne inventa almeno uno al giorno: il fascismo degli antifascisti, l’eteropride, il razzismo contro i bianchi, l’invidia sociale dei poveri.
L’ultima invenzione in ordine di tempo la dobbiamo al genio dei maître-à-penser della Lombardia che nel rispondere ai più che legittimi dubbi sulla gestione dell’emergenza Covid nella regione più falcidiata dal virus, si sono trincerati dietro un fantomatico “sentimento anti-Lombardo”, che per altro fa il tandem col “sentimento anti-industriale” coniato da Confidunstria più o meno nelle stesse ore per rispondere alle accuse di pressione per riaperture senza garanzie di sicurezza. Dunque, chi osa avanzare una minima critica all’operato della giunta regionale, anche dati alla mano, non è spinto da amor di verità, ma da un malsano sentimento di revanscismo contro la Lombardia tutta, la cui sola colpa è d’essere troppo bella, troppo avanzata, troppo perfetta per non suscitare invidia nel resto d’Italia, e per giunta offende i morti. Una visione che si fonda proditoriamente sull’identificazione di un presidente con la propria regione, con il governatore assoluto a un passo dall’esclamare “La Lombardie c’est moi”, e che è la maschera vittimistica dell’esasperato antimeridionalismo su cui la sua parte politica ha prosperato per anni.