GIORGIO FRANCHI, VALENTINA SORTE | Sabato 10 luglio, a Vimercate, sembra il Giorno della Marmotta: dopo il debutto di Mio nonno e il mulo, anche la seconda giornata del Vimercate Ragazzi Festival si apre con uno spettacolo sulla guerra e la memoria, interpretato da un solo attore su un palco vuoto. Pesche miracolose – la resistenza vista da un ragazzo, produzione Teatro Invito di e con Luca Radaelli diretta da Renata Coluccini, ne è tuttavia quasi l’opposto. Se il racconto di Principio Attivo Teatro si dipana tra le campagne in Africa e Russia, questa seconda storia rimane confinata tra le montagne del lecchese (inserendosi nel percorso dei “luoghi della memoria” portato avanti dalla compagnia): del conflitto mondiale, qui, arrivano solo i racconti dei giornali, i bombardamenti dei collegamenti circostanti e, soprattutto, la fame. La parola chiave dello spettacolo, oltre a “leggerezza”, è “onestà”: non c’è nessuna retorica o tentativo di evangelizzazione nei ricordi di gioventù con cui il protagonista interloquisce con il pubblico. Ne risulta, al posto di una morale scolastica, una più concreta riflessione sulla libertà intesa come diritto alla spensieratezza e alla solidarietà. Merito di una scrittura viva e particolareggiata e di una recitazione che trasmette esperienza e maturità artistica. Certi eventi storici poco noti ai ragazzi potrebbero anzi essere contestualizzati maggiormente, senza dover temere di risultare meno coinvolgenti.

Pesche miracolose, foto di Maurizio Anderlini.

Fa tappa, pochi metri più in là sempre a Parco Trotti, Un cuore a pedali, di e con Ippolito Chiarello: “tappa” perché il progetto del “barbonaggio teatrale”, inventato dal cantastorie leccese fondatore di Nasca Teatri di Terra, ha finora girato le piazze di Italia ed Europa fino a giungere in Canada; ispirando, inoltre, una nutrita generazione di artisti del

Un cuore a pedali, foto di Maurizio Anderlini.

teatro delivery. Il palco è un cubo di legno portato a spalla con una borsa da corriere, il camion che lo sposta è una bicicletta, i fari la luce naturale, l’allestimento dura una manciata di secondi. A metà fra narratore e clown, Chiarello infonde da subito entusiasmo e curiosità nel pubblico. Più difficile, una volta ottenuta l’attenzione, è mantenerla costante per tutto lo spettacolo: gli insegnamenti poetici su “come girare il mondo stando fermi”, liberamente tratti da Appunti di Geofantastica (Gianluca Caporaso, Sergio Olivotti – Editore Lavieri, 2015), stimolano l’appetito di storie con il rischio di non saziarlo. Il protagonista esploratore presenta infatti a lungo sé e le sue avventure, senza mai arrivare a raccontare un evento che occupi realmente il centro della trama. L’indiscusso magnetismo di Chiarello non basta a compensare la percezione di quel vuoto: forse quello che manca è una gerarchia tra i racconti, dall’antipasto alla portata principale. Consapevoli che i sapori, anche adesso, non mancano affatto.

A completare il tris dei monologhi, la visione decadente e a tratti psichedelica de Il gatto con gli stivali nella versione di Campsirago Residenza. Il testo e la regia di Marco Ferro spostano il luogo della vicenda in uno scenario periferico pervaso dal degrado, dove l’attrice Soledad Nicolazzi fa vivere rottami di discarica che diventano i personaggi di questa fiaba à la Tim Burton. L’interpretazione è stuzzicante, giocata sul ritmo e macchiata di una cifra inquietante che fa pendant con l’estetica straniante dell’opera. Si riscontra da subito la qualità dello spettacolo; difficile, tuttavia, immaginare quale pubblico possa apprezzarla fino in fondo. La compagnia suggerisce dai sei anni in su, ma gli spettatori più giovani non sembrano lasciarsi convincere fino in fondo. La modalità narrativa è infatti preponderante e tutt’altro che al servizio della fiaba. Apprezzano molto di più i genitori, merito anche di qualche chicca nascosta qui e là come una citazione de Il tempo delle mele. Stringici forte, gatto con gli stivali, mentre cerchi il tuo pubblico.

Il gatto con gli stivali, foto di Maurizio Anderlini.

“E tu cosa vedi? E tu cosa senti?” È questa la domanda che viene più volte rivolta agli spettatori e che dà il nome allo di delleAli teatro. Un percorso itinerante guidato dalle parole poetiche di Giada Balestrini e Alessandra Anzaghi, con la partecipazione di Franz Casanova, Rosita Mariani e Monica Pamagnani, attraverso gli spazi più suggestivi del Parco Sottocasa di Vimercate. E tu, cosa vedi? Cosa senti? è una passeggiata esperienziale, come definita dalla compagnia, che custodisce un invito al pubblico ad abbandonare per un attimo la frenesia della quotidianità per dedicarsi all’ascolto e all’osservazione di ciò che ci circonda, guardando con nuovi occhi la bellezza che spesso diamo per scontata. Mediante l’utilizzo di piccoli oggetti, viene chiesto ai bambini e ai loro genitori di guardare il mondo da prospettive nuove: uno specchietto appoggiato sotto il naso ci permetterà infatti di camminare a testa in giù e di scrutare da vicino cosa si nasconde sulle cime degli alberi, un cannocchiale magico ci farà vedere la realtà scomposta in mille pezzi; una benda scura sugli occhi ci porterà ad affidarci a mani sicure per poterci muovere tra le fronde degli alberi e ci aiuterà ad aguzzare l’udito per comprendere da dove e da quale particolare strumento provengono i suoni riprodotti dal vivo da un musicista. La buona orchestrazione di questo esperimento fa sì che la curiosità dei piccoli spettatori (dai quattro anni in su) abbia la meglio sulla diffidenza iniziale: una volta in marcia, lo stupore e la voglia di lasciarsi guidare prendono il sopravvento, guidandoci in un cammino che diventa un viaggio tra i suoni e la bellezza infinita della natura.

E tu, cosa vedi? Cosa senti?, foto di Maurizio Anderlini.

Il festival prosegue a Palazzo Trotti con Esercizi di fantastica di Sosta Palmizi, appuntamento imperdibile di questa edizione. Non è un caso che abbia ricevuto sia il Premio Città di Vimercate, assegnato da una giuria tecnica, sia il Premio del pubblico, assegnato dagli spettatori. Ma ancor prima del verdetto delle due giurie, è facile capire la qualità di questo lavoro osservando semplicemente i giovani spettatori sparsi in platea. Sono come “appesi” alla narrazione visiva ed emotiva che prende forma davanti a loro. Esercizi di fantastica è un omaggio in danza alla Grammatica della fantasia di Gianni Rodari. In quest’opera, l’autore riflette sull’arte di inventare storie. Da qui partono Giorgio Rossi, insieme a Elisa Canessa, Federico Dimitri e Francesco Manenti per esplorare, attraverso il movimento del corpo e gli oggetti scenici, la potenza dell’immaginazione e della creazione continua. Non si tratta di un generico spunto, la costruzione dello spettacolo parte da una precisa sollecitazione di Rodari, cioè quella di scegliere tre parole molto distanti fra loro, una sorta di trinomio fantastico, per dar vita a una storia. In questo caso in una casa grigia, tre grigi personaggi vivono e si muovono nella noia, chiusi e assorbiti dal loro piccolo mondo, quello del loro smartphone, senza prestare attenzione all’altro o attorno a sé. Fino a quando un elemento inaspettato, irrompendo da fuori, sposta il loro sguardo altrove. È una farfalla. Inseguendo la farfalla, inizia un crescendo di avventure e peripezie che porterà i tre personaggi a liberare i propri corpi e le proprie menti. La fantasia avrà la meglio. La cifra dello spettacolo è la trasformazione: dei movimenti, degli spazi, delle percezioni, delle scenografie. La rigidità e la chiusura dei corpi diventano fluidità e leggerezza; il dentro diventa fuori, il sotto sopra e viceversa. Tutto è euforia e scoperta, esplorazione e spaesamento. Anche nella narrazione scenica, la sensazione è proprio quella di perdersi. La bellissima ed eclettica scenografia di Francesco Givone, Francesco Manenti e Francesca Lombardo ha un ruolo importante in questa operazione. Una struttura mobile e pieghevole, formata da due pannelli e alcune aperture, diventa all’occorrenza casa, tetto, scivolo, tenda, scuola. Le pareti sembrano a un certo punto cadere, il senso dell’orientamento vacilla. Bravi.
Esercizi di fantastica è poetico e brioso, trasversale e transgenerazionale nei linguaggi. L’unica perplessità su questo lavoro è l’eccesso di spunti. La fantasia è di per sé prolifica e debordante ma poi è necessario scartare qualcosa per essere ancora più efficaci.

Esercizi di fantastica, foto di Maurizio Anderlini.

A chiudere la serata, più breve del previsto causa maltempo, è Lingua Matrigna della Compagnia Del Sole che, partendo da L’analfabeta di Ágota Kristóf, sviluppa un’interessante riflessione sulla difficoltà di abitare una lingua che non è veramente nostra mentre si diventa orfani della propria. Il tema è attualissimo, sia se pensiamo ai flussi migratori e all’importanza che la lingua riveste nei processi di integrazione, sia se più in generale consideriamo l’impoverimento linguistico che colpisce soprattutto le nuove generazioni. L’opera autobiografica della scrittrice ungherese viene restituita in scena come una confessione privata, in prima persona.

Lingua matrigna, foto di Maurizio Anderlini.

Patrizia Labianca nei panni di una credibilissima Kristóf registra su nastro la propria voce. Racconta la propria storia attraverso il suo rapporto viscerale con la scrittura, la lettura e la lingua Madre. La sua riflessione metalinguistica non è solo un racconto intimo, ma ha un valore fortemente sociale e politico. Si fa Storia in un modo molto leggibile – nei fatti d’Ungheria e nella sua fuga in Svizzera – e si fa Storia in un modo più sottile, parlando della sua regressione nella lingua matrigna, del suo analfabetismo. L’incapacità di esprimersi in un nuovo codice linguistico per la mancanza di mezzi espressivi adeguati è una privazione della propria dimensione identitaria, intellettuale e civile. Appropriarsi di quel codice è una seconda nascita.
La regia di Marinella Anaclerio in Lingua Matrigna è molto accurata e riesce a restituire, anche grazie all’uso di una scena centrale e claustrofobica, il percorso vissuto dalla Kristóf. La prima parte dello spettacolo è convincente e l’espediente del registratore crea ritmo nella narrazione, ma successivamente si sente la necessità di altre soluzioni sceniche per tenere viva l’attenzione dello spettatore e in particolare del giovane pubblico.

Ed è appunto il maltempo a mettere un punto alla serata, un punto che anticipa lo spettacolo Stavolta e mai più della compagnia Tedacà: il monologo di Elio D’Alessandro (vi avevamo dato qualche anticipazione qui) tratto da Rumore di cicale (Emanuele Gaetano Forte, edizioni Il Foglio, 2015) non va purtroppo in scena. Una chiusura malinconica, con la speranza che l’ultima giornata, che agli spettacoli somma la doppia premiazione delle compagnie, risollevi il morale degli spettatori.

Teatro Invito – Pesche miracolose (la resistenza vista da un ragazzo)
Nasca Teatri Di Terra – Un Cuore A Pedali
Campsirago Residenza – Il gatto con gli stivali
delleAli – E tu, cosa vedi? Cosa senti?
Sosta Palmizi – Esercizi di Fantastica
Compagnia Del Sole – Lingua Matrigna