ROSSELLA PICCARRETA | Le note di Psyco killer aprono e chiudono Il colloquio – The assessment. Non a caso. Il celeberrimo pezzo dei Talking Heads dal titolo illuminante è il codice con cui decifrare questo spettacolo, andato di recente in scena al Teatro Kismet di Bari dopo il debutto di due anni fa e lo stop alle repliche fermate dalla pandemia.
Vincitrice del Bando SIAE Nuove Opere “PER CHI CREA” 2019, la pièce, scritta e diretta da Marco Grossi e prodotta dalla Compagnia Malalingua, è comica solo in superficie.
Certo si ride e anche tanto. Le gag di Giuseppe Scoditti e degli altri sette attori, i colpi di scena paradossali, l’affastellarsi di termini del Business English Vocabulary, usati a sproposito e alternati talvolta al turpiloquio, sono un bell’esempio di comicità, desiderata e attesa da un pubblico che non vedeva l’ora di tornare a riempire i teatri (ne è prova il sold out) e soprattutto di ridere.
Si ride per situazioni assurde e grottesche, per arguzie lievi e giochi di parole, per battute a sfondo sessuale o scurrili e volgari. Eppure non siamo nell’avanspettacolo più bieco. La volgarità stessa, che affiora qui e lì, non è solo funzionale al meccanismo comico; è piuttosto il segno di un’epoca senza ritegno, in cui in certi ambiti lavorativi impera il cinismo e l’arrivismo di chi è pronto anche a usare il proprio corpo come merce di scambio, a denunciare la propria madre o addirittura ad agire con violenza.
La comicità, infatti, è solo la superficie di una commedia divertente, ma profondamente amara, che strizza l’occhio al teatro anglosassone più che a quello italiano, e sembra quasi rimandare (sebbene con più leggerezza) a certe atmosfere a tinte fosche di Dennis Kelly (si pensi a Love & money). Dietro e oltre ogni risata c’è, dunque, una riflessione sui nostri tempi e un’implicita denuncia.
Pensiamo già solo al linguaggio: Assessment, briefing, brainstorming, vision, mission, ecc ecc. sono termini di un aziendalese spesso usato a sproposito. Alternati a battute di spirito fanno molto ridere. Gli attori giocano con le parole, mescolando l’italiano con l’inglese ed enfatizzando l’uso del linguaggio d’impresa con effetti comici esilaranti.
Ma quell’antilingua, temuta e profetizzata da Calvino nel ’65 sul Giorno come il de profundis del nostro idioma materno, racconta la crisi della lingua italiana, travolta irrimediabilmente da quello che Tullio De Mauro definisce uno tsunami anglicus.
La vicenda si svolge nella stanza dell’ufficio di un top manager in cui vegono selezionati i candidati del colloquio. In primo piano un enorme logo dell’azienda tridimensionale. Sulla parete in fondo dei grandi filtri del condizionatore come degli oblò di una nave, una finestra funzionale alle azioni sceniche e una porta che riprende le geometrie di un quadro di Mondrian, da cui entrano uno alla volta i personaggi.
A completare la scena (di Riccardo Mastrapasqua) mobili di design (un lungo tavolo e sedie di Kartell trasparenti). Piccoli dettagli sono indizi di qualcosa che andrà storto come il quadro, sbilenco dall’inizio alla fine, nonostante i ripetuti e divertenti tentativi da parte dei vari personaggi di raddrizzarlo, a raccontarci che non sempre tutto va liscio come vorremmo o come dovrebbe.
Il pretesto drammaturgico è, dunque, un colloquio collettivo per un posto di lavoro (un assessment appunto), che si trasforma in un crescendo parossistico e deformato di violenza.
Contrariamente a tanto teatro italiano che parte dai classici per discutere di questioni di attualità, Marco Grossi sceglie di partire da un’occasione narrativa concreta e realistica, che degenera verso il grottesco e paradossale. E lo fa divertendo e attraversando tutti i meccanismi della commedia. Giovani rampanti con lauree col massimo dei voti e master all’estero competono per l’agognata assunzione e per carriere brillanti, sottoponendosi alle prove più assurde: casi aziendali virtuali, per dimostrare capacità relazionali, attitudini ora al lavoro di gruppo ora di leadership. Si sgomita in una deriva di intraprendenza, ipocrisie, arrivismo, egoismo e violenza. La comicità si alterna al cinismo e spesso ci va a braccetto.
Così uno schizzo di sperma, imprevedibilmente notato sulla guancia del recruiter, non fa solo ridere, come in un film comico alla Tutti pazzi per Mary, ma, sinistramente, con il carico di volgarità che si porta dietro, racconta la lotta per la sopravvivenza di chi è disposto a tutto, pur di avere un agognato posto di lavoro.
Lo spettacolo è corale. La carrellata dei personaggi, che entrano e si presentano uno alla volta, è variegata e divertente. Otto bravi e affiatati attori vestono i panni di alcuni tipi umani: l’intellettuale cinico, disincantato e ironico (Fabrizio Lombardo), la donna in carriera che nasconde una maternità taciuta (Valentina Gadaleta), la disabile sempre assertiva e gioiosa che si finge ingenua e sprovveduta e in realtà è un genio della matematica (Olga Mascolo), il bocconiano raccomandato, figlio dell’imprenditrice (Giuseppe Scoditti) che è il personaggio forse più sfaccettato e sorprendente, stupidissimo all’inizio violento e scaltro nel finale, il veterano che, nonostante abbia da molto superato l’età della laurea, si sottopone ancora a colloqui (lo stesso Marco Grossi anche attore in scena oltre che regista e drammaturgo), il tipo “so tutto io” che vuol fare il brillante (William Volpicella). Oltre i candidati, il recruiter rampante e arrivista (Alessandro Anglani) e il top manager, carismatico e sicuro di sè (Savino Maria Italiano).
Il linguaggio e i costumi sono totalmente adeguati al carattere dei personaggi. Il figlio in carriera è in abito blu, mocassini lucidi e cravatta rosa e parla in aziendalese, il filosofo è vestito come certi intellettuali di sinistra bertinottiani e si esprime per citazioni, l’ingenua in carrozzella è coloratissima e un po’ naif, il top manager, elegantissimo, ha codino e camicia alla coreana ecc.
Tra loro nasce uno scambio di battute che è prima competizione, poi rivalità e infine tensione alla distruzione dell’altro nella follia del finale in cui tutti sono pronti anche a uccidere, pur di ottenere ciò che vogliono.
Le luci (di Claudio De Robertis) sono bianche, sparate e fisse per tutto lo spettacolo, tranne che nell’epilogo, in cui le maschere calano e il gioco crudele si svela; il capo scioglie i nodi che lo imbrigliano e rivela la messa in scena finalizzata a scegliere i tre candidati da assumere. Solo in questo momento le luci si abbassano e si fanno soffuse.
La deflagrazione della conclusione è diagnosi critica e crudele dei costumi del nostro tempo e racconta la dinamica del desiderio e della violenza ben delineata da René Girard, uno dei punti di partenza e di riferimento per la scrittura (che si è avvalsa tra l’altro anche di incontri con consulenti di psicologia del lavoro). L’assessment nella lettura dell’antropologo è l’evoluzione moderna di un antico rituale ordalico. Diventa, perciò, per Marco Grossi l’occasione per raccontare l’individualismo sfrenato di una società in cui non esiste più il concetto di comunità, sopraffatto da quel “desiderio mimetico”, per il quale tutti desiderano ciò che gli altri hanno o desiderano, e tutti sono pronti a qualunque violenza, pur di essere e apparire come soggetti vincenti.
IL COLLOQUIO – the Assessment
Una produzione Malalingua
Drammaturgia e regia di Marco Grossi
con Alessandro Anglani, Valentina Gadaleta, Marco Grossi, Savino Maria Italiano, Fabrizio Lombardo, Olga Mascolo, Giuseppe Scoditti, William Volpicella
Scene di Riccardo Mastrapasqua
Luci di Claudio De Robertis
Assistente alla regia Monica De Giuseppe
Organizzazione Marianna de Pinto
Grafica e foto di scena Davide Petruzzella
Ufficio stampa Marilù Ursi