ILENA AMBROSIO | Torino piena di vita. Nelle scorse settimane la bella città sabauda è stata in fervore per l’Eurovision Song Contest, per il Salone del Libro e per il Fringe Festival 2022. “Extravaganza” il tema di questa decima edizione: programma poliforme e variegato, con più di 200 repliche di spettacoli teatrali di artisti e compagnie internazionali, eventi speciali, talk, residenze, mostre d’arte, live performance, danza. Una fervida mescolanza di linguaggi per un festival diffuso che dal 2013 riprende le esperienze dei più importanti festival off europei.

Con una full immersion di una giornata abbiamo attraversato tre lavori estremamente differenti: lo spettacolo di teatro ragazzi Niko e l’onda energetica di e con Paolo Arlenghi e Matteo Cionini della Compagnia :-Pindarica, il dittico dosteoevskiano Dal sottosuolo – Underground di Francesco Gargiulo e Barbara Mazzi de Il Mulino di Amleto, la performance di danza Hikikomori di AlphaZTL Compagnia d’Arte Dinamica.

Niko e l’onda energetica è la simpatica storia della formazione di una coscienza ecologica. Niko è un comunissimo ragazzino innamorato del suo supermegagigaschermo, un led di circa due metri per quattro grazie al quale può diventare una rockstar, fare e disfare costellazioni – molto bella l’idea delle piccole luci che passano dalle mani dell’interprete allo schermo – dipingere, affrontare mostri e avventure.
Ma nel mondo di Niko è stato necessario razionare l’energia elettrica – prospettiva ahinoi non propria assurda – per cui il suo maxi schermo si spegne continuamente. Ed ecco la maligna mascotte della socetà Foxyl – una volpe digitale con la suadente voce di Rita Lo Destro – a blandirlo convincendolo a guardare video promozionali e ad appoggiare iniziative non esattamente ecologiste pur di continuare il suo gioco. Sei d’accordo con il disboscamento dell’Amazzonia? Vuoi aumentare la temperatura globale di 0,5° per non sentire più freddo? Vuoi vivere senza regole sporcando tutto? L’ingenuo ma soprattutto superficiale e inconsapevolmente egoista Niko clicca ok senza pensarci, con l’unico obiettivo di proseguire il proprio gioco. Sarà il saggio e informato amico Umberto a dirgli la verità, a spiegargli la differenza tra energia sporca e pulita, a parlargli dell’urgenza di dare una svolta al corso delle cose per salvare il Pianeta e a svelargli che ogni singolo individuo può fare la differenza per invertire la traiettoria verso l’autodistruzione perché che solo insieme si potrà salvare la Terra.

Paolo Arlenghi e Matteo Cionini sono riusciti con un’idea semplice e lineare a toccare i punti fondamentali della questione ecologica: le nostre superficialità e strafottenza, l’idea del “tanto se lo faccio solo io non serve a nulla”, la generalizzata inconsapevolezza della gravità della situazione. Di grande impatto sono le immagini di devastazione del pianeta riproposte a più riprese dalla malefica volpe della Foxyl: un realistico spaccato di ciò che la Terra sta subendo e che è utile vedano anche bambini e ragazzi. Un’operazione senza dubbio necessaria, inserita in un dispositivo che di certo potrebbe ammaliare lo sguardo di un piccolo spettatore avvezzo alla multimedialità. Peccato che la drammaturgia indugi spesso nel didascalico, disinnescando proprio quel fascino che questo tipo di teatralità esercita sui più giovani e rendendo la relazione uomo-schermo eccessivamente meditata e a tratti poco fluida. Peccato, soprattutto, che in platea non ci fosse un numero sufficiente di bambini che potessero animare i momenti di condivisione e coinvolgimento del pubblico, limitando così la possibilità di valutare l’effettivo impatto che l’operazione potrebbe avere su di loro. 

Un pubblico coinvolto e partecipe invece letteralmente circondava Francesco Gargiulo e Barbara Mazzi che al Fringe hanno debuttato con Dal sottosuolo – Underground.
Della genesi e dello sviluppo di questo lavoro, scaturito dal progetto Fahrenheit, ci hanno raccontato in un’intervista di recente pubblicata su PAC.
Assistendo a queste due performance ibride, a metà tra il teatro, la satira filosofica e il teatro partecipato la prima e tra il live music, l’inchiesta e il documentario collettivo la seconda, ciò che più di tutto salta all’occhio è il desiderio, schietto e incondizionato, passionale e anche irruento di dare una forma a ciò che la lettura di Dostoevskij ha sollecitato.

Uccideresti l’uomo grasso è un gioco ispirato al trolley dilemma, e insieme uno show del quale Gargiulo è il presentatore. Le regole sono semplici: un ipotetico treno sta per schiantarsi contro qualcuno e due concorrenti devono pescare da un mazzo di carte due possibili malcapitati e convincere il pubblico a scegliere di salvarne uno a discapito dell’altro. Compito ingrato se tra le carte balzano fuori Hitler, un politico che scatenerà la terza guerra mondiale o un ragazzino che sparerà a raffica in una scuola… Un gioco, sì,  «semplice ma non facile» perché poco a poco, in un crescendo di sarcasmo, humor nero e sadismo ci si rende conto che sul tavolo non ci sono solo delle carte e dei cicchetti di vodka per i vincitori ma il dilemma su ciò che è giusto e ciò che sbagliato, su cosa sia l’etica, cosa la morale e su quale sia il prezzo a cui ciascuno di noi, proprio noi che siamo lì a ridere di gusto, è disposto a venderle. 


Il nucleo fondante di Delitto e Castigo, benché mai citato, permea ogni aspetto della performance: dai jingle “russeggianti” composti da Elio D’Alessandro, ai dettagli scenici – una matrioska, l’immancabile bottiglia di vodka, la terra su cui poggia il tavolo da gioco –, dai richiami a un’improvvisa febbre, al cappotto di lana indossato sulla t-shirt da Gargiulo.
Il retaggio della Compagnia è evidente ma l’attore trova un proprio peso specifico, riuscendo a maneggiare con abilità umorismo e un’ironia al vetriolo mescolati in un mood che è tanto esilarante quanto sinistro.

E l’impronta del Mulino è impressa particolarmente sul dispositivo scenico che gioca sullo sfalsamento (caro all’ensemble) dei piani visivi e che ha raggiunto la massima espressione e completezza con Festen. Proprio come in questo ultimo lavoro, un telo semitrasparente separa lo spazio dello show dalla postazione con consolle e mixer che sarà la scena di Barbara Mazzi. Su di esso le proiezioni che fanno da intermezzo al gioco: i video della sedicente filosofa Philippa Ruth Foot – lo stesso Gargiulo con barba e parrucca da anziana signora: una chicca. Davanti, una piccola camera, un occhio ossessivo e indiscreto che resta fisso a riprendere il tavolo da gioco proiettandolo su un piccolo schermo a lato scena.  

Lo spettatore è costantemente sollecitato, nello sguardo, nell’ascolto, forzato – con suo grande godimento ma forzato – a mettere in discussione i propri imperativi morali, brutalmente punzecchiato su ciò di cui è convinto, sulla percezione che ha di sé come “persona onesta”, “persona buona”. Non c’è possibilità di scampo: il terreno, la melma che ciascuno tiene normalmente nascosta, che a volte non immagina neppure possa imbrattare la purezza dei propri intenti, viene fuori, con una potenza che smorza la risata, trasformandola tuttalpiù in un sorriso arcigno.


Ma poi, a fare da contraltare alla pirotecnica energia della prima parte del dittico, arriva l’affondo in un terreno complementare ma di tutt’altra composizione.
Ispirata a Il Grande Inquisitore, splendido capitolo/racconto de I Fratelli Karamazov, la performance pensata da Barbara Mazzi si sviluppa come un’esperienza immersiva nei significati più esistenziali e universali di quelle parole. Anche qui poche nella loro veste originale, eppure fortemente risonanti tra le note di una davvero bella playlist.

Ripresa dalla camera, ora maneggiata da Gargiulo dietro il velo, vediamo Mazzi nello schermo laterale mentre, nella inedita veste di dj, mixa i suoi brani alternandoli ai pezzi di un puzzle composto a partire dalle domande fondamentali che la lettura di Dostoevskij ha fatto scaturire: Felicità o libertà? Ti inchineresti a chi ti sfama? Cos’è il tuo dolore? Quale parte del tuo corpo lo custodisce?
Stralci di giornale, foto, frammenti di video interviste, post e commenti sulle pagine social: tutto il materiale di questa inchiesta scorre per immagini sul telo, e per voci, trascinato dal torrenziale flusso musicale. 


Se prima la partecipazione, coercitiva ma divertita, era inevitabile, ora è uno stato di trance a rapire lo spettatore. Una condizione in cui l’ascolto si fa pensiero, il pensiero sentimento, poi interrogazione, comprensione, forse persino rivelazione di qualcosa che ci appartiene.
Barbara Mazzi fa da guida in questo itinerario ma non con il distacco della pre-consapevolezza bensì con la partecipazione di chi apre le porte di un universo che ha scoperto e fatto suo, tanto da poterlo ora condividere, in una danza di grande sensibilità, a piedi nudi sulla terra, i gesti di chi, a sua volta, le ha aperto le porte del proprio dolore. 

Desiderio. È evidente il desiderio di racconto e condivisione dal quale nascono questi due lavori. Una condivisione partecipata dai due interpreti che presenziano l’uno alla performance dell’altra in una collaborazione che non è semplice supporto tecnico ma evidente fratellanza in un progetto comune; e – come sempre e imprescindibilmente per il Mulino – condivisione con il pubblico cui si offrono quelle parole che si è scelto di salvare, attraverso due modalità differenti ma egualmente efficaci e sincere; soprattutto sincere.

Profondamente sentito è anche il terzo lavoro visto per il Fringe, Hikikomori di AlphaZTL compagnia di danza di Brindisi, variamente impegnata nel sociale attraverso progetti e produzioni che mettono al centro chi è escluso, emarginato, evitato.
È del 2020 – ma ante lockdown – questo focus su una condizione venuta sempre più a galla negli ultimi anni: quella degli Hikikomori, giovani e adolescenti che volontariamente si rinchiudono nella propria stanza, estraniandosi dal mondo e da qualsiasi relazione sociale.

“Abbiamo voluto raccontare questo fenomeno soprattutto per capirne il perché – racconta Vito Alfarano coreografo e direttore artistico della compagnia – e abbiamo scoperto che una delle cause principali sta nel disequilibrio che si crea tra l’affetto dei genitori quando uno dei due è eccessivamente protettivo fino alla possessività; oppure in una insofferenza per gli schemi e le tendenze imposte dalla società dalla quale si sceglie di ritirarsi del tutto”.

La performance danzata si svolge allora nello spazio claustrofobico di un quadrato scenico nel quale tutto – il suono, le luci, gli oggetti – proviene dall’interno. I corpi seminudi dei due danzatori (Cassandra Bianco e Francesco Biasi: bravissimi!) si muovono nei riverberi delle torce che loro stessi manovrano, creando chiaroscuri di grande fascino. Poi lottano, si avvinghiano l’uno all’altra, si avvolgono nei nastri di scotch che impediscono la vista, il respiro, che  li tengono legati a forza impedendo loro, in definitiva, la libertà.
Contatti violenti e sofferti ma nessuna relazione: “Ho voluto lavorare con due danzatori ma facendo in modo che ciascuno stesse come chiuso nella propria stanza. Ho voluto raccontare la solitudine”.
E Hikikomori – in un susseguirsi di segni che potrebbe guadagnare in linearità e immediatezza attraverso qualche ritocco in termini di asciuttezza – racconta con spiccata sensibilità e partecipazione proprio questa solitudine disperata, ma anche ribelle, furente così che, pur nel medesimo spazio, quei due corpi che mai si guardano negli occhi, restano comunque chiusi nella propria prigione autoimposta.
Ma non irrimediabilmente. C’è un contatto, alla fine, un ritrovarsi negli occhi che finalmente si incontrano, scoprendo magari, la possibilità di un’alternativa al dolore e alla solitudine. 

 

NIKO E L’ONDA ENERGETICA

di e con Paolo Arlenghi e Matteo Cionini
voce di Foxyl Maria Rita Lo Destro
produzione Progetto U.R.T.
in collaborazione con Pindarica Theatre Company

DAL SOTTOSUOLO – UNDERGROUND
Dittico Dostoevskij: Atto I Uccideresti l’uomo grasso? – Atto II G.I.

un progetto de Il Mulino Di Amleto
di e con Barbara Mazzie Francesco Gargiulo
con la partecipazione di Christian Di Filippo
a cura di Marco Lorenzie Alba Maria Porto
consulenza drammaturgica Enrico Pastore
consulenza tecnica Giorgio Tedesco
produzione A.M.A Factory/TeatroLiberoPalermo
in collaborazione con Asterlizze Teatro

HIKIKOMORI

regia e coreografia Vito Alfarano
con Cassandra Bianco e Francesco Biasi
Idea e selezione musicale Marcello Biscosi
Produzione AlphaZTL Compagnia d’Arte Dinamica
Coproduzione Fabula Saltica

Torino Fringe Festival 2022
21 maggio 2022