GIORGIO FRANCHI | Si conclude il 12 giugno la sesta edizione del Festival Vimercate dei Ragazzi: 26 spettacoli e 30 laboratori articolati in tre giorni per quello che è ormai un appuntamento fisso per il teatro ragazzi. Compagnie da tutta Italia (e oltre, come accade per gli olandesi Garage TDI de Il re del cartone) presentano le loro creazioni tra le ville e i parchi del comune lombardo. Il punto clou della giornata sarà la consegna del Premio Città di Vimercate, promosso dall’amministrazione comunale e conferito da una giuria di giovanissimi spettatori. Ma prima di votare mancano ancora alcuni spettacoli: il primo che vediamo va in scena a Villa Sottocasa, nel pieno centro città.

Un tempo le fiabe incutevano timore. Streghe malvagie foriere di punizioni per i bambini indisciplinati proliferavano nel Vecchio Continente, prima che immigrassero dall’America i sorrisoni della Disney a rubare il lavoro. Recuperare il senso di inquietudine delle favole e adattarlo alla sensibilità corrente è una delle sfide più interessanti del teatro ragazzi. Hansel und Gretel, della compagnia I Teatri Soffiati di Trento, va in questa direzione con sapienza e brillantezza. L’attaccamento alla tradizione parte dalla storia, mantenuta intatta e agita da un solo interprete in scena (Giacomo Anderle), affiancato dal narratore – musicista (e regista) Alessio Kogoj.

Foto di Maurizio Anderlini.

Una cassa di legno polifunzionale, a cura di Andrea Coppi, è il perno scenografico dello spettacolo. Il resto consta di pochi elementi, come posate e un bastone, usati con creatività, e qualche elemento scenico di troppo con funzione più che altro decorativa (a metà dello spettacolo appaiono delle grandi foglie nere, verso la fine gioielli e catenine). La regia può emergere ancora di più affidandosi in toto alla chiave minimalista: quest’ultima non solo rende giustizia al leitmotiv sinistro della favola, ma spiana anche la strada alla convincente interpretazione di Anderle, che smussa con simpatia clownesca i momenti più taglienti dell’originale dei Grimm.

E proprio nella simpatia clownesca pianta le radici il Cappuccetto Blues di Luca Radaelli, prodotto da Teatro Invito: la coppia Stefano BrescianiDavide Schiaccianoce ricorda il rapporto cane – gatto di Lemmon e Matthau, ereditandone i ritmi da commedia dell’arte e l’arcinoto cinismo. Cinismo che non manca neanche nella rilettura drammaturgica della favola: protagonisti sono gli eredi del lupo cattivo, che ripercorrendo le orme dell’antenato scopriranno infine che questi è stato attirato dalla nonnina in un’imboscata e ucciso per farne una pelliccia. Il tutto avviene in un mash-up favolistico alla Shrek, scandito da canzoni originali che ricordano B.B. King, ululate dal duo di lupi blues.
Lo spettacolo convince subito i giovanissimi spettatori, catturandone l’attenzione con giochi comici, travestimenti e piccoli trucchi, ma arriva anche al cuore degli adulti con facilità. Unica pecca la distribuzione delle scene: l’epifania “complottista” dei due lupi, il momento in assoluto più croccante dello spettacolo, meriterebbe più respiro, mentre la cornice della narrazione rallenta un poco l’inizio e scarta l’ipotesi di un finale scoppiettante, sacrificato per chiudere i fili della trama. Ma le risate non mancano, merito della regia e, soprattutto, dell’affiatamento degli interpreti.

Ci spostiamo a Parco Gussi, sede dello spettacolo itinerante Nonno Mollica (Teatro Evento), firmato da Giorgio Scaramuzzino in scena con Stefania Ventura. L’ingrediente principale, qui come nell’omonimo libro di Scaramuzzino e Andrea Musso, è la narrazione: quella delle storie che il protagonista, un anziano pescatore, racconta ogni sera, ma anche quella della sua incredibile vita. È proprio con quest’ultima che si apre lo spettacolo: la figlia del pescatore introduce il personaggio del padre, per poi raggiungerlo assieme al pubblico in una seconda stazione, dove i due racconteranno una storia insieme, scelta (o forse no) con il pubblico.

Foto: Francesca Tria

Lo spettacolo, in prima nazionale, presenta nella sua parte iniziale una fragilità: l’incipit è  piuttosto lungo e sovrabbondante di antefatti. Questo ostacola il lavoro attorale di Ventura che, in biblico tra passato e presente del racconto, non può concentrarsi ad agganciare fino in fondo il pubblico. Chiarite le regole del gioco, è ben più efficace la seconda parte: Scaramuzzino narra, con classe, esperienza e ironia; Ventura aggiunge brillantezza, ora correggendolo, ora punzecchiandolo. La struttura diventa più solida e facile da seguire, permettendo al pubblico di immergersi fino in fondo nelle storie di Nonno Mollica, che ogni tanto si incanta, come a ogni buon nonno raccontatore può capitare (vd. La riparazione del nonno di Stefano Benni).
La scenografia di Giorgia Goldoni è elegante ed evocativa. Tanti applausi al capolinea di questo viaggio nella fantasia, al quale manca giusto qualche limatura per esprimere tutto il suo potenziale.

L’ultima delle tre giornate del festival termina con la premiazione: la giuria di venti “nuovi sguardi” tra gli 8 e i 14 anni conferisce ex aequo il Premio Città di Vimercate a Kronoteatro per Renart, processo a una volpe e a Teatro dell’Argine per C’era una svolta. Le motivazioni del premio sono disponibili sul sito del festival, a questo link.

La giovane giuria ha premiato, nel primo caso, uno spettacolo composito, con un attore giovane e talentuoso, Filippo Tampieri, (cambiamogli il tutone, però!) che facilmente entra in contatto con i piccoli spettatori, racconta (e canta) la storia delle malefatte dello spaccone Renart con una lingua molto curata, un italiano che si ascolta volentieri, anche nei versi in rima delle canzoni in cui si usano parole come “baccelliere”. Bella la scelta di far coesistere diversi linguaggi: dalla canzone trap, alla proiezione al teatro di figura, in un montaggio articolato e ricco; gli elementi devono essere ancora meglio amalgamati e specialmente la parte legata alle figure (proiettate perché i piccoli personaggi ottengano misura maggiore) soffre di approssimazione. Renart è un lavoro creativo, che osa in più direzioni.
Di C’era una svolta di Teatro dell’Argine, bambini e ragazzi hanno apprezzato la simpatia delle tre interpreti, lo spirito scanzonato con cui si accenna a concetti importanti come la libertà di scelta femminile e le belle invenzioni sceniche, con cui le tre attrici interagiscono con ironia e disinvoltura. Lo spettacolo, fresco di debutto, ha però una drammaturgia frammentata, i blocchi narrativi sono debolmente collegati e al brio di Caterina Bartoletti, Patrizia Proclivi, Ida Strizzi può essere meglio incanalato.

Possiamo forse concludere che il gradimento del vero destinatario degli spettacoli del festival è andato agli artisti che più direttamente parlano a loro, sia attraverso storie antiche sia con espliciti riferimenti contemporanei. L’importante è che ci sia fantasia.

 

 

HANSEL UND GRETEL
regia Alessio Kogoj
con Giacomo Anderle, Alessio Kogoj
produzione I Teatri Soffiati

CAPPUCCETTO BLUES
regia Luca Radaelli
con Stefano Bresciani, Davide Scaccianoce
produzione Teatro Invito

NONNO MOLLICA (prima nazionale)
regia e di Giorgio Scaramuzzino
con Giorgio Scaramuzzino, Stefania Ventura
scene, luci e costumi Giorgia Goldoni
produzione Teatro Evento

RENART – PROCESSO A UNA VOLPE
adattamento e regia Tommaso Bianco
con Filippo Tampieri
burattini Francesca Marsella
responsabile tecnico e disegno luci Alex Nesti
produzione Kronoteatro

C’era una sVolta
regia Giovanni Dispenza
con Caterina Bartoletti, Patrizia Proclivi, Ida Strizzi
produzione Teatro dell’Argine