GIORGIO FRANCHI | 1870. Seconda rivoluzione industriale. L’Europa si copre di ciminiere, le filande sfornano teli di seta a ciclo continuo. Le campagne si svuotano, i contadini confluiscono, in un esodo di massa, nelle città: nuclei pressurizzati, epicentro di un’espansione nevrotica, fatta di fabbriche, di carbone, ma soprattutto di una vocazione, tramandata nei secoli a venire, orientata alla frenesia.

Ed ecco che, d’un tratto, il ciclo si inverte. Come nella miglior tradizione delle pestilenze (Boccaccio e Manzoni insegnano), le città si spopolano e le campagne accolgono coloro che fuggono dal centro. Laddove non accade fisicamente, è un viaggio quanto meno mentale: periferie e confini hanno preso un posto centrale nei festival teatrali di tutto lo Stivale. Tante le realtà nate con il sostegno del bando Milano è Viva: tra queste, il festival Humus della compagnia Alma Rosé (8-28 Settembre) spinge oltre l’asticella, piantando le tende dove il cemento del capoluogo meneghino non ha ancora inglobato il verde.

Siamo alla Cascina Biblioteca, zona Parco Lambro, dove la natura è rigogliosa e chi arriva si chiede se sia ancora Milano. Dal 2013, la cascina è gestita dall’omonima cooperativa, che in breve tempo l’ha resa un punto di riferimento dei quartieri limitrofi, grazie al lavoro su inclusione e accessibilità con un particolare occhio per i disabili e le loro famiglie. Terra fertile (non a caso il nome Humus) per un dialogo con il quartiere e chi lo abita: usando le parole di Manuel Ferreira (Compagnia Alma Rosé), per “far germogliare questi terreni che si trovano in bilico tra la rigenerazione e la fragilità congenita in una zona di confine come questa.”

Sono proprio la fragilità e la natura a costituire il leitmotiv degli appuntamenti del festival, in cui alle numerose performance della compagnia di casa si integrano le proposte di Oyes, Piccola Accademia delle Arti, ArteMakìa, Lost Movement e vari laboratori. Tematiche che riflettono una sinergia profonda con la cooperativa ospitante che, oltre alla bella sede, mette a disposizione la propria esperienza nel favorire il contatto tra disabili, famiglie ed educatori e la Compagnia Alma Rosé. Ne nasce lo spettacolo Stabat Pater, coproduzione con Sanpapié sulla battaglia quotidiana dei padri di ragazzi diversamente abili.

Foto di Fabrizio Re.

Lo spettacolo, intelligente amalgama di prosa e teatrodanza, nasce da un’idea di Elena Lolli e Manuel Ferreira, quest’ultimo in scena con il giovane danzatore Gioele Cosentino. Il figlio e il padre, o meglio, il coro di tutti quei padri costretti a combattere ogni giorno per i propri figli, in una società che sembra non avere posto per loro. Il dialogo procede da una sola parte: il figlio non proferisce parola, intrappolato in una danza che comincia dagli spasmi per trasfigurarsi presto nella coreografia di Laura Guidetti, senza esaurirsi in una mimesi pedissequa.

Oltre che dal mezzo artistico, il dialogo è interrotto dal muro dell’incomunicabilità. Mentre aiuta il figlio a farsi la doccia, il padre riflette sulle esperienze che non ha avuto col figlio: dalla imprescindibile formazione sui fondamentali del calcio, al rito di passaggio del cazziatone paterno per essere tornato a casa ubriaco dopo il coprifuoco. La nostalgia della quotidianità permea il collage di esperienze scisse di un padre fragile che, nell’intento “senza filtri” dello spettacolo, non si tira indietro di fronte a momenti di collera o disperazione. Un finale in levare è la marca della regia, essenziale, di Claudio Orlandini: non la ricerca della commozione a ogni costo, ma uno sguardo onesto, con annesse luci e ombre, su una realtà troppo spesso taciuta.

Rimarrebbero alcuni nodi da sciogliere. Le espressioni del danzatore e la sua partitura vocale rischiano un appiattimento verso la sopracitata mimesi; alcuni passaggi drammaturgici eccedono forse nella semplicità; la relazione tra i due interpreti fatica a carburare nei primi minuti, dando meno spunti alla recitazione. Sono rischi del mestiere, imprescindibili quando si lavora su una materia così complessa e scottante, che la compagnia gestisce con coraggio e sensibilità.
Si fa sentire il nutrito pubblico al momento degli applausi, soprattutto per la prestazione mozzafiato di Gioele Cosentino: quasi un’ora di danza ininterrotta, sempre in dialogo con un attore “statico”, con conseguente aumento del quoziente di difficoltà. Ma la corsa è appena iniziata: per Alma Rosé, in scena quasi tutte le serate del festival, il tour de force dura fino al 28 Settembre. Passo dopo passo, nel verde dipinto di verde del Parco Lambro.

 

Stabat Pater

di Elena Lolli, Manuel Ferreira
con Manuel Ferreira, Gioele Cosentino
regia Claudio Orlandini
coreografa Lara Guidetti
musiche Maura Buttafava
luci Andrea Violato, Mike Reyes
scene e costumi Stefano Zullo