MATTEO BRIGHENTI e RENZO FRANCABANDERA | MB: Siamo appesi a un tempo che scorre ma non passa. I giorni da quanti giorni si ripetono? L’orologio ticchetta forte, sempre più forte. Sembra quasi l’eco di una protesta di detenuti che colpiscono le proprie sbarre con stoviglie rimediate chissà dove. La sveglia suona e la nuova alba di sempre scopre ancora una volta Nic e Nac in carcere. Nel carcere del loro letto. Un letto a castello che, gira e rigira, è ormai tutta quanta la loro casa. E infatti ha le veneziane, che si aprono sul centro della scena come due finestre qualsiasi. Su un simile “altare” alla nostra sospensione quotidiana inizia e si officia Fratellina della Compagnia Scimone Sframeli in prima assoluta a Prato al Teatro Fabbricone. Uno spettacolo che sussurra il fare e farsi del bene con piccoli gesti e piccole attenzioni contro la paura più grande che c’è: l’abbandono.

RF: È una compagnia storica di teatro del surreale, quella nata dall’incontro di questi due artisti. Rafforza una tradizione, per certi versi anche geograficamente specifica, di drammaturghi e teatranti interessati a una narrazione, diciamo così, filosoficamente cinica, disillusa dell’esistenza. Per un altro verso, invece, proprio perché proiettata dentro una testualità volutamente ingenua, la narrazione della vita nei loro spettacoli diventa una sorta di attesa di redenzione, di speranza laica di un futuro utopico, ma a cui non bisogna rinunciare. È un orizzonte di tutti i loro spettacoli, anche di questo, che è un lavoro per molti aspetti onirico-filosofico.

Foto di Ivan D’Alì

MB: Nic e Nac sono a letto, ma Spiro Scimone (suo il testo) e Francesco Sframeli (sua la regia) sono entrambi vestiti, come se fossero pronti per uscire. E invece, fin quasi alla fine non metteranno giù nemmeno un piede. Si sentono protetti, tra lenzuola e coperte, al sicuro e al riparo dal mondo, ognuno nella propria piccola cella. Non sono soli perché conversano e, così facendo, si regalano l’un l’altro una realtà migliore di quella che vedono. Fanno teatro, ovvero sognano insieme, si rivelano, si svelano. Il sole di cartone, tirato su a vista al pari della luna quando si fa sera, non dà luce propria, dà la luce riflessa della volontà di ritrovarci tutti qui in sala per riconoscerci. È questo respiro che tiene acceso Fratellina.

RF: L’azione accade connotata dal tempo, ma in un tempo per così dire assoluto, di cui si avverte solo il trascorrere.
Un segno molto forte, anche acusticamente parlando, quello del tic-tac con cui si apre lo spettacolo e che allarga la vista (l’efficace disegno luci da interno carcerario è di Gianni Staropoli) su due impalcature di tubi Innocenti che si fronteggiano simmetriche, coperte nei due rispettivi rettangoli anteriori dalle tristi tende veneziane di color verdino che hai ricordato prima, di quelle che vengono su tirando il filo e che nella metà dei casi restano bloccate su un lato, inclinandosi e restando bloccate come l’esistenza di chi le manovra.
Si sollevano le due veneziane a sinistra e si rivelano i due letti a castello che ospitano questi due poveri cristi. Quello nel letto di sotto, Sframeli, dice che vuole essere un poveraccio. I due dialogano con la modalità tipica della scrittura di Scimone, incentrata proprio sulla struttura filosofica: affermazione, domanda che deriva dall’affermazione e che ne ripete in parte il contenuto, risposta alla domanda, spesso con un afflato indifferente ai bisogni e alle passioni, e che evoca fedeltà solo al rigore morale, mai evocato esplicitamente, ma sempre presente.
E tutti in sala, in una battuta, in una considerazione sulla condizione dell’esistere, in un dolore vissuto e mai cicatrizzato, nato dal rapporto con chi ci circonda, dallo spasmodico bisogno di apparire, tutti siamo narrati nel loro dire.

Foto di Gianni Fiorito

MB: Per riconoscerci dobbiamo rispecchiarci. Nic e Nac sono le lancette di uno stesso orologio: non possono misurarsi da sé. Hanno bisogno di un altro orologio che scandisca tutto il tempo che perdono, che non contano o che non capiscono. Ecco allora aprirsi le veneziane di un secondo letto a castello, perfettamente speculare al primo: lo abitano Fratellino e Sorellina, ossia Gianluca Cesale e Giulia Weber.
Con una lingua che come la risacca va e torna, a ondate continue, l’incontro permette a ciascuno di loro di ritrovare la propria parte mancante, e quindi quell’interezza che non veniva mai nelle fotografie di famiglia, quell’ascolto che i genitori non tolleravano per nessuna ragione al mondo. L’ironia, il grottesco, sono le chiavi che usano per chiudere fuori chi li vuole uguali sempre; la leggerezza e la giocosità sono il modo per ingannare e far dimenticare di sé questo tempo vischioso, rendendo più sopportabili attese e speranze che tardano a realizzarsi.

RF: I due che si trovano ad abitare i lettini dell’impalcatura di destra (le scene sono di Lino Fiorito) sono vestiti con più vivacità. Sandra Cardini pensa, per loro due, costumi più vistosi. Lui ha un abito grigio, lei veste di grigio, giallo e blu in una combinata scarpe-calze-vestitino, cui abbinerà un filo di rossetto. Sono fratello e sorella.
A lei hanno portato via il marito, rinchiudendolo dentro un armadio e ora vuole che il fratello faccia il giro degli antiquari per comprare l’armadio in cui è rinchiuso il cognato, per liberarlo. Ma se poi non avessero i soldi per pagare il saldo che vuole l’antiquario? Allora, magari, meglio tenere questo armadio chiuso, trovare consolazione negli abbracci di qualcun altro e tenere il marito nell’armadio, in una sorta di sospensione dal vivere che ricorda leggibilmente il paradosso dell’esperimento del gatto di Schrödinger, il cui scopo era illustrare come la meccanica quantistica fornisca risultati paradossali se applicata a un sistema fisico macroscopico. L’animale, chiuso dentro una scatola, era collegato a un meccanismo che aveva probabilità di ucciderlo. Ma secondo la meccanica quantistica, finchè non viene osservato lo stato effettivo, un sistema di questo tipo si trova in una sovrapposizione degli stati evento avvenuto-non avvenuto.
E così pure il marito della signora (e cognato di quello del letto di sopra), chiuso nell’armadio, sarebbe nella stessa condizione, con la conseguenza paradossale che gli stati di gatto vivo/gatto morto sarebbero entrambi presenti contemporaneamente.
L’armadio, che a un certo punto arriva in scena, chiuso con tanto di catenaccio, diventa così emblema di uno stato intermedio del vissuto che crea stoiche possibilità alternative all’esistenza che viviamo. Dentro l’armadio è ancora possibile sperimentare la bellezza profonda del vuoto, del non avere, dell’essere diversamente, senza che questo venga inquinato dalle regole della convenienza e convivenza sociale. Insomma, l’armadio è lo spazio dell’utopico in cui tutto è possibile.

Foto di Gianni Fiorito

MB: Dunque, Fratellina indaga il (fare) teatro come luogo di ritrovo in cui condividere le parole per togliere il lucchetto a ogni nostra resistenza e vivere appieno senza più catene di qualunque sorta. Questo vuol dire anche reimparare ad ascoltare il silenzio, cioè il nostro essere vivi e stare al mondo, semplicemente, lasciandoci indietro, come fa il Bastianazzo di Michele Santeramo, tutto quello che ci vuole diversi, o meglio, tutto quello che ci allontana da chi siamo per davvero. È lo strappo nel cielo di carta de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, di The Truman Show di Peter Weir, che qui fa finalmente toccare i piedi per terra a Nic e a Nac, come a Fratellino e a Sorellina. La grazia che possiamo, che dobbiamo scegliere di farci gli uni con gli altri è andare avanti tutti insieme. Conservando una carezza per chi è più indietro.

RF: Fratellina è spettacolo di ingenua purezza, di una bellezza semplice. Il testo filosofico avvince per la sua lineare semplicità – caratteristica di tutto l’allestimento – e ci ricorda che non serve alcun orpello per fare del buonissimo teatro ma occorre farsi domande di qualità, a cui cercare risposta dentro di sé. Il notevole testo è recitato con acume, dentro una finzione talmente esagerata da essere specchio fedelissimo del reale. Lo spettacolo resta: resta dopo, quando si esce, con il suo modo di indagare. Resta nei giorni successivi, nella memoria, nell’impianto visivo, nelle trovate sul senso del tempo, dell’esistere.
Eh sì, perché semplice non significa banale. Così come la povertà non equivale alla miseria. Fratellina è uno spettacolo di grandezza poetica francescana.

FRATELLINA

di Spiro Scimone
regia Francesco Sframeli
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scene Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
assistente alla regia Roberto Zorn Bonaventura
in collaborazione con Istituzione Teatro Comunale Cagli
produzione Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Scimone Sframeli

7, 11 dicembre 2022 | Teatro Fabbricone, Prato