CAMILLA TESTORI* | Antigone di Sofocle, uno dei testi più amati e discussi da millenni, continua a essere presente e centrale nelle scelte artistiche del teatro di oggi, con numerose declinazioni, rivisitazioni, riletture multimediali. Ne è una prova l’adattamento di Gabriele Vacis, Antigone e i suoi fratelli, presentato nella stagione del Teatro Stabile di Torino dalla compagnia Potenziali Evocati Multimediali (PEM).
La storia della compagnia vale una piccola nota: gli attori, giovanissimi diplomati della Scuola del Teatro Stabile, fondano PEM nel 2021 e chiedono a Vacis, già direttore dal 2018 al 2021, di essere loro socio. Da allora iniziano un percorso di ricerca improntato principalmente alla ricerca sui classici della mitologia greca – da Prometeo a Le fenicie di Euripide e Antigone, protagonista in quest’ultimo lavoro – e su temi sociali, come la Resistenza e l’adolescenza.

La figura di Antigone, tempio di domande e messe in discussione delle certezze costituite, è stata, come si diceva, assai reinterpretata nella storia; il suo coraggio, la sua tempra ferma e la fede irremovibile in ciò che reputa giusto l’hanno resa paladina, riferimento e voce di chi lotta, trasformata in taluni adattamenti in eroina simbolica persino della lotta antimafia e delle rivendicazioni femministe.
Nella messa in scena di PEM, ospitata per la prima volta sul palco delle Fonderie Limone di Moncalieri, si intersecano diversi livelli ed espedienti narrativi: la tecnica è mista, si alternano momenti di narrazione a momenti di recitazione plurale, intervallati a loro volta dalle canzoni del coro, a cura di Enrica Rebaudo, intonate in greco antico.
La capacità canora degli attori è rilevante, il ritmo e le melodie dei pezzi sono in grado di creare un’atmosfera coinvolgente e solenne, uno dei punti di maggior forza dello spettacolo.
Il tema del doppio è ricorrente. Lo stesso personaggio è nella maggior parte dei casi interpretato da due attori che si alternano e si rimbalzano l’attribuzione del ruolo; gli attori stessi interpretano, in modo post-drammatico, sia i personaggi sia loro stessi. Uscendo dal loro ruolo legato alla drammaturgia, gli attori forniscono più volte al pubblico spiegazioni tecniche sullo spettacolo, così come si lasciano andare a riflessioni che rispecchiano i pensieri della loro generazione.
Lo spettacolo si apre con l’evocazione delle vicende della tragedia da parte di Giocasta (interpretata da Enrica Rebaudo ed Erica Nava) che, ricalcando la vicenda in un mélange fra le scritture di Sofocle ed Euripide, ripercorre la storia della maledizione di Tebe, fino a portarci sugli eventi poco prima dello scontro tra Eteocle e Polinice.
Gli attori sono tutti sul palco, per tutta la durata dello spettacolo, vestiti di colori poco appariscenti, sulle tonalità del beige, rosa carne e marroncino. Le luci sono soffuse, la musica è ambient, ma di intonazione cupa.
La scenografia è inizialmente composta da una passerella posata sul pavimento e ricoperta di un materiale simile al terriccio che, rifrangendo la luce, crea un effetto luminescente. Questa verrà poi elevata dopo lo scontro tra Eteocle e Polinice, per restituire spazio al palcoscenico, rilasciando una pioggia terrosa e glitterata, particolarmente suggestiva.
Giocasta, madre di Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene, tenta invano di far riappacificare i figli. Lungo e retorico il suo discorso sulla necessità di smitizzazione della sete di potere e dell’ambizione che hanno portato Eteocle (interpretato da Edoardo Roti e Giacomo Zandonà) a non cedere il governo di Tebe a Polinice (Gabriele Valchera e Davide Antenucci), venendo meno ai patti e costringendo il fratello a muovere guerra alla sua stessa patria per farsi giustizia.
Prima dello scontro Antigone, interpretata in questo caso da Letizia Russo, chiede al pubblico di accompagnarla nella preghiera, esortando gli spettatori, ora trasformati in cittadini di Tebe, ad alzarsi in piedi e a mutare il proprio ruolo da semplice funzione di osservatori a partecipanti, cosa che sviluppa negli astanti particolari suggestioni nel dare corso a quanto richiesto: da una parte c’è la sensazione di disagio e straniamento nel compiere una ritualità già conosciuta in un contesto inaspettato come il teatro, dall’altra, questo coinvolgimento porta maggiormente gli spettatori nella vicenda.
La visione del pubblico come corpo, contrapposto al corpo degli attori, è ben esplicitata nell’intervista a Vacis presente nella scheda di sala: nell’antica Grecia, infatti, le tragedie erano rappresentate spesso di giorno, oppure la sera con gli spettatori illuminati dalle candele; la vista sulla platea era pertanto un denominatore comune.
La funzione del pubblico era quindi non solo quella di guardare e ascoltare la rappresentazione ma anche, viceversa, di essere visto e ascoltato dagli attori, proprio come una presenza tangibile. Questa visione si contrappone notevolmente alla pratica comune odierna, dove la platea viene fatta sparire e, una volta spente le luci, è rispettato il silenzio.

L’atmosfera grave e lugubre che succede alla lotta fratricida, viene amplificata da una trovata scenica molto di effetto: un telo di plastica semi-trasparente viene teso ai lati e fatto passare sopra e sotto gli attori, come un’onda, e poi piegato in verticale come a dividerli dal pubblico, che li intravede solo attraverso la trama opaca. I corpi marmorei degli attori e i loro volti luttuosi si imprimono sulla superficie come calchi, fino a che il telo torna a ondeggiare e arriva sopra il pubblico.
Anche il personaggio di Creonte è interpretato da più attori (Pietro Maccabei, Giacomo Zandonà, Davide Antenucci e Edoardo Roti). Questa scelta, come viene spiegato al pubblico, è dovuta al fatto che Creonte era un trentenne, ovvero quasi un anziano per l’antica Grecia, e perciò nessuno degli attori poteva verosimilmente rappresentarlo. Ligio alle regole della polis, egli ordina di predisporre i funerali onorifici per Eteocle mentre per Polinice, traditore della patria, non ci sarà degna sepoltura.
Antigone, come noto vorrà andare contro questa decisione normativa: si sente già metà morta e metà viva; sua sorella Ismene è attaccata alla vita con i denti, invece, e vorrebbe poterla condividere con la sorella, unica superstite della famiglia, ma si rende apertamente conto che lei verrà invece ricordata solo come una codarda, così come è considerata dalla sorella.
Ammettendo la sua fragilità e la sua titubanza, il ruolo di Ismene, interpretato con capacità e passione da Raffaella Mariani, prende finalmente forma e spessore, catturando infine l’empatia del pubblico. Amore versus amore, il dialogo tra le due fa riflettere e scuote enormemente.

Così come successivamente è in grado di mozzare il fiato Lorenzo Tombesi che, attraverso un monologo struggente in cui interpreta sé stesso, dà voce a pensieri che, oltre a essere terribilmente intimi, sono condivisi e portati sulle spalle dalle giovani generazioni. Il sentimento di disagio diffuso che esprime è infatti quello di avere troppa scelta, di non saper prendere una posizione in cui riuscire a riconoscersi. Questo senso di disorientamento dato dall’agio della società occidentale rende apatici, insicuri, fino al punto estremo di provare un sentimento di invidia nei confronti di chi, obbligato ad esempio dalla guerra, di scelta ne ha solo una: la lotta per la sopravvivenza. Se da una parte questo monologo genera una sensazione di empatia e proiezione, ma anche senso di protezione verso un giovane in balia dell’esistenza, dall’altra l’età giovane degli attori viene spesso usata come arma di provocazione; succede, ad esempio, quando Antigone, riferendosi al pubblico, chiede ridendo e con fare di scherno come mai Creonte abbia deciso di convocare un consiglio di anziani.

Tra i tebani i sostenitori di Antigone sono molti, e saranno a migliaia a scendere in piazza dopo la sua condanna. La figura di Creonte impersonifica le vecchie generazioni, l’incapacità dei vecchi di comprendere senza sospetto il nuovo, barricandosi dietro modi di pensare e schemi mentali sclerotizzati.
A rappresentare le orde di cittadini in arrivo da ogni dove per chiedere giustizia, gli attori raccolgono il terriccio sparso per terra, e, come laboriose api operaie, creano piccole montagnole. Nel frattempo, una delle due Antigoni, la cantante Chiara dello Iacovo, gira seduta al pianoforte, trainata da un carrello elevatore, mentre suona e intona un canto melodioso.

La performance di PEM diretta da Gabriele Vacis vale complessivamente la visione. Tanti sono i momenti coinvolgenti e commoventi, inoltre la scenografia (a cura di Roberto Tarasco) e le musiche (Riccardo di Gianni), meritano una speciale menzione.
La complessità della struttura dello spettacolo e lo scambio tra le parti rende invece talvolta macchinosa non solo la comprensione da parte dello spettatore, creando un senso di straniamento, e gioca probabilmente un ruolo nel far apparire evidenti talune acerbità nella compagine attorale: piccoli tentennamenti e momenti in cui l’emozione ha la meglio.
La recitazione, in alcuni frangenti cruciali, come nel momento in cui si trovano al centro della scena, non arriva a sviluppare tutte le possibili modulazioni emotive, risultando un po’ urlata: così i personaggi finiscono conseguentemente per sembrare piatti e bidimensionali (come nel caso di Creonte ed Eteocle che, sebbene antagonisti, risultano purtroppo poco interessanti, interpretati limitandosi a recitare il ruolo del cattivo stereotipato).
Ciononostante, se alcuni espedienti teatrali si considerano in veste sperimentale, c’è da apprezzare il tentativo nell’insieme riuscito, base di partenza per performance future.
La sensazione finale, complici i monologhi di Giocasta e Antigone a chiusura dello spettacolo, lascia comunque spazio a riflessioni profonde su grandi temi, come quello dell’amore universale e della solidarietà. Rimane anche, infine, per il pubblico più giovane una sensazione di stimolo alla consapevolezza, al ragionare sui piccoli e grandi gesti di egoismo, al non lasciarsi andare alla vita facile e al conformismo pret-a-porter.

 

ANTIGONE

da Sofocle
adattamento e regia Gabriele Vacis
con (in ordine alfabetico) Davide Antenucci, Andrea Caiazzo,
Chiara Dello Iacovo, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti,Letizia Russo, Daniel Santantonio, Lorenzo Tombesi,Gabriele Valchera, Giacomo Zandonà
scenofonia e ambienti Roberto Tarasco
pedagogia dell’azione e della relazione Barbara Bonriposi
dramaturg Glen Blackhall
suono Riccardo Di Gianni
cori a cura di Enrica Rebaudo
Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale
in collaborazione con Associazione culturale PEM

Fonderie Limone di Moncalieri (Torino) | 18 gennaio 2023