GIANNA VALENTI │ Frankestein di OHTOffice for a Human Theatre è un lavoro estremamente poetico, immersivo e visionario che ci chiede di accogliere le azioni della scena con la totalità della nostra presenza fisica incarnata e con la complessità della nostra presenza energetica, come campi percettivi e di ascolto al di là della nostra visibilità. Sí, perché Frankestein per OHT è anche una declinazione del rapporto tra l’umano e la scienza, in un’epoca storica, questa della prima parte del XXI secolo, che chiede di attivare l’immaginazione e l’intuito nel rapporto con la realtà scientifica. Sono di Rosi Braidotti le parole scelte da OHT per presentare lo spettacolo: “Contrariamente a quello che l’opinione scientifica corrente possa dire, l’immaginazione è una delle componenti principali della razionalità scientifica”.
Frankestein si inserisce nella stagione 2022/2023-Buchi Neri del Teatro Astra di Torino sul tema del rapporto con la verità scientifica. E sono i praticanti delle nuove scienze, che ormai non più a passi ma a salti quantici stanno aprendo nuove realtà e visioni nella nostra quotidianità, a indicarci che è attraverso le nostre capacità intuitive e le nostre potenzialità di channelling creativo che possiamo avvicinarci alla realtà scientifica e provare così a dare risposte alle nostre domande.

L’universo Frankestein di OHT — la regia e la scena sono di Filippo Andreatta — si immette nei modi operativi di un computer quantico, spalancandosi nella molteplicità delle direzioni possibili e nella pluralità e sincronicità dei linguaggi e delle azione. Agendo a livello drammaturgico le sovrapposizioni, i legami e i multi-accadimenti delle proprietà quantistiche della materia, ogni azione scenica, come un qubit — l’unità di informazione quantistica che può corrispondere simultaneamente a più valori classici — apre all’immissione sincronica di una molteplicità di informazioni, sensazioni e valori. 

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Nello spazio scenico, le due performers, Silvia Costa e Stina Fors, agiscono dando voce e corpo (alternativamente o contemporaneamente a Frankestein e alla sua creatura) come pure presenze spaziali che sanno irradiarsi e collaborare con gli elementi scenografici e il suono — musica e suono sono di Davide Tomat — per creare spazi mutevoli che si spalancano continuamente nell’oltre della scena e nel nostro oltre di testimoni, in un atto continuo e libero di co-creazione. Nel procedere non lineare, OHT isola momenti, parole, inquadrature, suoni, luoghi, paesaggi e sentimenti senza seguire la linea temporale dell’opera di Mary Shelley.

La scena iniziale ci immette nella semioscurità di un forte temporale e ci proietta nella notte di pioggia tetra e battente in cui, circa a metà romanzo, lo scienziato Frankestein sceglie di dare la vita. Un’inaspettata e forte esplosione di scintille ci indica la nascita della sua creatura. Subito dopo, altre esplosioni ci immettono nella potenza deflagrante di un vulcano, mentre le parole (proiettate su un grande telone che mappa i luoghi del Monte Bianco che nell’opera di Mary Shelley sono attraversati dallo scienziato e dal mostro) ci trasportano su una montagna vulcano all’altra estremità del pianeta, Il Monte Tambora in Indonesia. 

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Una doppia esplosione del 1815 viene raccontata nei dettagli della sua devastazione, per legare l’opera di Shelley a un disastro climatico che oscura i cieli europei per gli anni successivi e che struttura profondamente i paesaggi esterni ed interni del suo romanzo.  Un evento che si trasforma in creazione estetica quando la scrittrice scrive la sua opera sulle rive del Lago di Ginevra, nell’estate fredda e con continue precipitazioni del 1816, ambientandola tra i freddi, le nevi e i ghiacciai delle Alpi e tra le lande ghiacciate verso l’estremo nord del pianeta.
Le nebbie vulcaniche guidano anche la sezione successiva, dove un articolarsi di suoni incomprensibili si apre alla nascita di ogni linguaggio e alla nascita del linguaggio nella creatura di Frankestein. Suoni incomprensibili che creano presenze fisiche e spaziali e che poi si lasciano udire come litania di nomi dei gas che creano in Europa il nuovo immaginario, “carbon monoxide, carbon dioxide, hydrogen”. Una sezione che ci immette nelle potenzialità della scrittura come costruzione architettonica di spazi e  discorsi.

In altre scene, il dolore, la confusione e le sensazioni irriconoscibili del mostro alla sua nascita. E ancora, la sua solitudine nel nascondiglio da cui ascolta e osserva gli uomini e comprende il linguaggio, il ruolo dei suoni e l’associazione tra parole e cose. Ma la via della conoscenza, ci indica l’ultima scena di OHT tra i vocalismi di Stina Fors e un’azione di Silvia Costa, è una via di rabbia e dolore sia per l’orrida creatura che per il suo creatore.

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La conoscenza ha dimenticato le leggi del cuore. Attraverso le due performers, il mostro ci parla con le parole più alte di un cuore a cui non è dato di poter ricevere amore e che sprofonda nel vuoto e nel silenzio del non potersi relazionare:
“Il cuore è vuoto… il mio è un silenzio interstellare senza memoria… Il silenzio sembra spiarmi… Hai sentito il vento ieri sera? Ho sentito il silenzio ieri sera. Basta sentire il mio cuore”.

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È di una solitudine profondissima che ci parla questo Frankestein, ed è una riscoperta di questa profondità nella scrittura di Mary Shelley. Prima di entrare in sala, passiamo da Astra Dark Interior, l’installazione che OHT definisce “Un incontro sentimentale fra l’oscenità architettonica e l’evocazione di Frankestein”.
Si accede attraverso un cunicolo. Dentro, una stretta e bassa fetta di sottotetto, uno spazio nascosto dentro lo spazio del teatro.
Sono immersa nel buio. I suoni mi sradicano da ogni presente e da ogni possibilità di orientamento. Un fascio di luce si sposta e si modula attraverso un’apertura completamente sbarrata da assi di legno irregolari, ma quella luce insieme al suono riesce solo a creare altra inquietudine.
In questa condizione di sradicamento e di vuoto assoluto agisce il mostro di OHT. La sua apparizione è preceduto da un forte vento — in scena come grande ventola appesa al soffitto che si attiva, si illumina e viene spinta agendo ampi movimenti oscillatori.

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I suoi tentativi di relazionarsi con l’umano e con il proprio cuore passano dalla possibilità di articolare le molecole di aria dove nessuna separazione con se stessi e con l’altro da sé è possibile: “Devo articolare… Una sola frase basta per salvare il cuore?… con le mie parole cambierò l’aria”. Il mostro non riesce a farsi presenza nel mondo perché il suo dolore rimane inascoltato e sente che solo il silenzio interstellare può donargli bellezza e pace — Io “…an aerial entity living in a marginal zone…”. “I was failing the mutation of sound into voice… my inner self told me that the most beautiful music of the world is the interstellar silence.” 

 

FRANKENSTEIN

performance di OHT Office for a Human Theatre
regia e scena Filippo Andreatta
suono e musica Davide Tomat
performer Silvia Costa, Stina Fors
assistente regia Veronica Franchi
luci Andrea Sanson
responsabile allestimento Cosimo Ferrigolo
costumi Lucia Gallone
sculture di scena e automazioni Plastikart Studio
busto di cera e maschere Nadia Simeonkova
fondale dipinto Paolino Libralato
tecnico Orlando Cainelli
stage tecnico Rebecca Quintavalle
amministrazione Lucrezia Stenico
sviluppo Anna Benazzoli
fotografie Giacomo Bianco
teaser Anouk Chambaz
produzione OHT
co-produzione TPE Teatro Piemonte Europa, Snaporazverein (CH), Opera Estate festival
residenza artistica Centrale Fies, CSC S.Chiara di Trento
con il contributo di MiC, Provincia Autonoma di Trento, Fondazione Caritro di Trento e Rovereto OHT è associata al CSC S.Chiara di Trento 

ASTRA DARK INTERIOR
installazione di OHT [Office for a Human Theatre] i
dea, scena e scrittura Filippo Andreatta
suono Davide Tomat
responsabile allestimento Cosimo Ferrigolo
produzione TPE Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Office for a Human Theatre