GILDA TENTORIO ed ELENA SCOLARI | Teatrino Giullare è una piccola compagnia teatrale, formata da Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti, che da più di venticinque anni esplora il fare teatro attraverso una poetica originale, con allestimenti e installazioni in Italia e non solo. La loro ricerca artistica è imperniata sulla sperimentazione di artifici scenici, maschere, pupazzi in stretta relazione con gli attori in carne e ossa. Una forma particolare di teatro di figura. Si sono cimentati con testi classici e dal 2005 con la drammaturgia del Novecento, a cominciare proprio da Samuel Beckett, passando anche per Thomas Bernhard e Harold Pinter.
Il Teatro Elfo Puccini di Milano ha recentemente proposto un dittico beckettiano del duo bolognese e PAC ha costruito una discussione a quattro mani, per confrontare prospettive e riflessioni: Gilda Tentorio ha visto Finale di partita, un classico dei Giullare nato nel 2005 che ha alle spalle centinaia di repliche e una messe di premi in Italia e all’estero; Elena Scolari riflette sul Diario dei Giorni felici, versione da palco dell’opera video, realizzata durante il lockdown teatrale e globale del 2020 (premiata all’edizione speciale di Rete Critica 2020).

GT: Finale di partita è stato il mio primo incontro con questa coppia geniale e ne sono rimasta incantata. Si entra in sala, le luci sono soffuse e al centro della scena si vede un tavolaccio: sopra il ripiano a scacchiera, due oggetti coperti da stracci e due secchielli, mentre una lampada-lanterna getta un cono di luce centrale. Poi cala il buio e si intravedono due attori che hanno preso posto, nerovestiti, il viso seminascosto da maschere di cuoio. Seduti al tavolo, osservano la scacchiera come due giocatori avversari che studiano le mosse. Ed ecco che liberano dagli stracci le “pedine”, cioè i pupazzi/statuine di legno di Hamm e Clov, i protagonisti, e la partita ha inizio. Un incipit muto e giocoso, e gradualmente quegli oggetti prendono vita.
Il “finale di partita” è la terza e ultima parte nel gioco degli scacchi, quando le pedine superstiti si sono ormai ridotte drasticamente e il re non è più solo un pezzo da difendere ma anche una figura di attacco. Qui il re è il capriccioso e irascibile Hamm, il padrone di casa cieco e paralizzato che odia il mondo e la vita stessa. Intorno a lui si muove il servitore Clov, docile ma stremato dagli ordini assurdi del padrone e perciò sempre sul punto di abbandonarlo. Nell’incalzare dei botta e risposta i ruoli di vittima e carnefice si alternano: sono due esistenze minate dalla solitudine e dall’egoismo, duellanti e complici, entrambi feriti dall’attesa della fine, chiusi all’inferno del “fuori” – desolato come dopo un’apocalisse post-atomica – ma intrappolati nell’inferno interiore. Incapaci di dirsi addio e legati dalla necessità del “dire”, mentre il linguaggio si fa sempre più rarefatto.

ES: Sì, L’effetto inquietante della scena è pienamente riuscito e la cura ironica dei particolari fa sorridere con la giusta amarezza: il testo di Beckett arriva al pubblico con la forza della sua sgradevolezza, con il cinismo dell’inutilità e lo humour irresistibile del non-sense. La piccolezza dei personaggi è nelle dimensioni fisiche e nell’impotenza di movimento autonomo quanto nell’assenza di libertà.

GT: Trasformare l’assurdo beckettiano in una “pupazzata” di fantocci è una scelta brillante: Hamm è immobile, paralizzato sulla sua sedia, Clov è invece condannato a restare sempre in piedi, entrambi fissi nella loro condizione. La scacchiera è lo scenario dei loro slanci pietrificati: non riescono a evadere ma scalpitano, urlano, agitano le braccia, girano in movimenti convulsi. Spassosi gli intermezzi di Nagg e Nell (i genitori di Hamm), simpatici scheletrini affamati che balzano fuori a scatto dai secchielli (i bidoni della spazzatura in cui sono condannati a vegetare), e per un attimo sembra che abbiano vita propria.

ES: Nel Diario dei Giorni felici i protagonisti Willie e Winnie sono bamboline di plastica vestite con costumini e accessori confezionati appositamente, con ciò che i due autori avevano a disposizione in casa, giacché di casa non si poteva uscire, in quei giorni assurdi (appunto), e assai poco felici. Il cappellino è un tappo di bottiglia bianco, l’ombrellino è quello dei cocktail, c’è poi il buffissimo utilizzo di oggetti fuori scala per la dimensione dei personaggi, ciò che nell’originale Winnie tiene nella sua borsetta ha qui misure da gigante: la limetta per le unghie risulta enorme per le minuscole manine e potrebbe limarle tutto un braccio, il rossetto è sovradimensionato per la sua mini boccuccia e potrebbe dipingerle il volto intero.

GT: Il luogo casa ritorna: Finale di partita è ambientato da Beckett in una casa-mondo asfissiante (per alcuni metafora della scatola cranica), con due finestrelle che si aprono su Terra e Mare, verso cui l’evasione è impossibile; qui invece esiste solo il piano della scacchiera, che racchiude infinite mosse potenziali eppure bloccate, mentre intorno c’è l’assedio del buio.

ES: La casa è dove i Giullare hanno trascorso e trasformato i loro Giorni felici di tre anni fa, in condizioni (per metafora) sorprendentemente simili a quelle della coppia beckettiana: questi ultimi stanno all’aperto ma lei è sepolta fino alla vita in un cumulo di sabbia e lui in una cavità dello stesso cumulo alle spalle della moglie. E lì sono bloccati.
Qui all’Elfo Deotti e Dall’Ongaro hanno ri-montato il piccolo set casalingo su un tavolino davanti al divano: un mucchietto di terra da un vaso rovesciato da cui spunta la povera Winnie, sempre ottusamente positiva.

GT: Dalla preziosa sperimentazione sul concetto di “soglia” deriva un senso di inquietudine: qual è il confine tra artificiale e reale? Chi è più “finto” sulla scena, il pupazzo che palpita e grida o l’attore che ne è la protesi e l’animatore? Ad esempio, quando Hamm con il suo braccino snodabile avvicina alla testa il fischietto, fischia anche l’attore, in un atto mimetico perfetto di duplicazione, e allora, chi recita chi?; ma talvolta con ironia tagliente questa illusione di armonica convivenza-sovrapposizione si rompe: i bisticci ostentati fra i due personaggi si fanno caricaturali e il battibecco si trasferisce dal pupazzo all’attore, come quando Deotti si alza, offeso dalle accuse di Hamm, e lascia il suo posto: sulla scacchiera il suo Clov, privo della guida e della voce umana, ora ci appare inerte, è tornato pura materia. È un attimo di cortocircuito tra finzione e realtà.

ES: Lo sdoppiamento, seppur dato da dimensioni e linguaggio, vale per entrambi i lavori: il Diario è nato montando sequenze giornaliere di un mini film girato con la tecnica della stop-motion; in questa versione live i due attori sono seduti su un divano scuro a centro palco, illuminati solo da una abat-jour e dietro di loro un grande schermo mostra le immagini del filmino. Giulia Dall’Ongaro legge da un quaderno lo scandire del diario personale di quei giorni di maledetta primavera (dall’11 marzo 2020, il giorno in cui sono stati chiusi i teatri), il campanello che nel testo distingue le ore diurne da quelle notturne qui serve a segnare quando la lettura si interrompe per far partire la sequenza immagine. C’è quindi una doppia dimensione, quasi tripla, in realtà: il video, il divano con gli attori e il tavolino con la bambolina/Winnie ‘dal vero’.

GT: Ci si sente risucchiati in questo meccanismo teatrale, scarnificato all’essenza, non trovi? Tutto è in scala ridotta eppure il messaggio echeggia potenziato. Si respira quella primordiale ambiguità del dispositivo teatrale, in cui convivono realtà – l’attore in carne e ossa – e finzione – la maschera e il pupazzo -, materia e artificio.

ES: L’allestimento di Finale è indubbiamente più oscuro e conturbante. Diario mantiene una leggiadria gaia, data soprattutto dalla continua sproporzione tra tutti gli elementi in gioco, uno sfasamento che confonde ma impedisce di inquietare: una bambola che si spazza i denti con uno spazzolino (che per lei sarebbe) lungo un metro, per quanto l’ingrandimento proiettato possa ricordare un po’ gli horror, soprattutto fa ridere. La sensazione di squilibrio si ha quando si vede una donna vera, immobilizzata in una collinetta. Giulia Dall’Ongaro si fa inghiottire dal divano fino alla vita ma troppo distinto rimane il piano dell’attrice da quello del personaggio.
Quello che più colpisce, sia nella più compiuta versione video sia in questa trasposizione dal vivo è l’aderenza di alcune delle battute del testo con la fissità forzata di quei giorni: “Paura di aver poco da dire e poco da fare, con ore davanti a sé prima del campanello del sonno e più niente da dire più niente da fare. Che i giorni passano, certi giorni passano e vanno, senza che si sia fatto niente o quasi”. Eh?
E infatti l’intuizione di Teatrino Giullare fu allestire Giorni felici proprio in quei giorni, in quel modo, con quei piccoli frame che venivano pubblicati e seguiti quotidianamente on line, che facevano compagnia, gemme perfettamente incastonate in un contesto unico (speriamo). La perla rimane quell’idea, in quella circostanza.

GT: L’ultima scena di questo Allestimento da scacchiera per pedine e due giocatori è straziante: Hamm si è fatto coprire da un lenzuolo che, illuminato da un accendino, mostra in controluce il pupazzo con le braccia alzate e una chiazza di sangue. Sono le ultime battute, tornano le parole “gioco”, “parlare”.
E mentre il pupazzo trema, vien da pensare che il teatro è un gioco maledettamente serio.


FINALE DI PARTITA
Allestimento da scacchiera per pedine e due giocatori

diretto e interpretato da Teatrino Giullare
con Giulia Dall’Ongaro e Enrico Deotti
scenografia e pedine Cikusca
maschere Fratelli De Marchi
produzione Teatrino Giullare

DIARIO DEI GIORNI FELICI

costruito, interpretato e diretto da Teatrino Giullare
ispirato dal testo di Samuel Beckett
produzione Teatrino Giullare con il sostegno di Regione Emilia Romagna

Teatro Elfo Puccini, Milano
28 febbraio e 3 marzo 2023