MATTEO BRIGHENTI | Il teatro, quando è necessario, ti mette in testa una domanda. Te la consegna, te l’affida come una questione di importanza vitale, perché ha a che fare proprio con la tua vita. Ti interroga su come la stai vivendo e, soprattutto, su come la puoi cambiare per essere più te stessə, o meglio, per diventare più te stessə. Questo teatro è uno specchio della natura: la tua. E non di adesso, ma di domani.
Al Festival Inequilibrio 2023 della Fondazione Armunia, tra Castiglioncello e Rosignano Marittimo (Livorno), per il primo anno con la direzione artistica esclusiva di Angela Fumarola, gli spettacoli che ho visto mi hanno lasciato con questa domanda: “Quando troverai il coraggio di raccontarti fino in fondo?”.
Ora che la rileggo, però, non mi sembra esattamente questa. Manca qualcosa, come per un sogno raccontato, da sveglio, il mattino dopo. C’è, ma non del tutto. È quindi la forma che riesco a dare per condividerla ora, qui. È la sua eco, per capirci. Perché il teatro non ti interroga certo con le parole: ti interroga nelle emozioni, nelle sensazioni.
Sentire e dire sono cose diverse. Risalire dall’uno all’altro vuol dire incamminarsi su una mappa di luoghi, incontri, pensieri, in parte conosciuti, in parte no. Una mappa del genere di quella che ho ritrovato nel libro Il teatro dentro la Storia. Opere e voci dalle Torri Gemelle alla pandemia di Rodolfo Sacchettini, da poco uscito per Anthology Digital Publishing. Un’educazione sentimentale dello sguardo critico, tanto accurata quanto coinvolgente, che lo studioso di teatro contemporaneo, radio e letteratura del Novecento, ha presentato a Inequilibrio insieme a Lorenzo Donati, da tempo suo compagno di strada e di «Altre Velocità». Un tempo che, ormai, si sovrappone al sempre.
La materia viva del ricordo sono i giorni che Marta Ciappina danza ne Gli anni di Marco D’Agostin (recensito su PAC da Sara Perniola). Sono l’eterno ritorno di un passato che non ha pace, né riesce a trovarla, perché chiede una giustizia che ancora gli viene negata. La giustizia della verità. È un racconto personale e generazionale insieme, il cui dialogo tra l’io privato e il noi storico si ispira all’omonimo romanzo del Premio Nobel Annie Ernaux.
Nell’età scandita dai limoni comprati al mercato, Ciappina è dovuta crescere in fretta, cercando un modo non per scappare, ma per restare. E proteggere l’urlo che ha dentro. Quell’urlo che la abita e che adesso la muove su una partitura per frammenti, sprazzi, baleni, a ricostruire la scena del delitto irrisolto del padre, con canzoni d’amore, amore iniziato, finito, deluso, innalzato, comunque sempre desiderato, inseguito. Gli anni è anche una canzone degli 883: la giovinezza è una sconfitta che non passa, anzi, che rivendichiamo come snodo identitario fondamentale per comprendere ciò che potevamo essere, e non siamo stati.

Gli anni. Foto di Michelle Davis

È una guerra che da interiore si fa esteriore, che sgualcisce di combattività la camicia bianca della danzatrice, simbolo non della resa ma del candore della ragione. Ogni gesto esplode una parola, ogni parola libera una testimonianza. Si può danzare tutto questo, e anche le intenzioni, le incertezze, gli inciampi, i disgusti e le gioie, come fa Giselda Ranieri in RE_PLAY, un re-enactment di memorie reali, tratte dal suo archivio digitale personale degli ultimi due anni, e di memorie virtuali realizzate appositamente per la scena.
Tra autobiografia e fake, conflitti come distanza/prossimità e presenza/assenza si incontrano nella ricerca della performer di una consapevolezza del proprio corpo, di una materialità che vada al di fuori tanto degli schemi quanto degli schermi di due laptop e della proiezione sul fondo. La sua è un’immagine che si fa mondo, che scompagina e smargina, che sorprende e riaccende gli intervalli tra ciò che diciamo e ciò che non riusciamo a dire, tra cosa vediamo di noi nello specchio di un monitor e cosa succede attorno.
Quello che non sentivamo, ora lo sentiamo, dopo un altro urlo covato dentro troppo a lungo. Ranieri si vede e si mostra attraverso la tecnologia, propaggine, estensione immaginifica di arti e di organi, con un movimento segmentato, come di linee spezzate, che soltanto la sua voce ricompone. È una figura presa e lasciata, osservata e che osserva, nell’isolamento della sua camera come della sua condizione inquieta, che sedimenta come propri anche i ricordi, le immagini, gli atti mancati deglɜ altrɜ.

Re_Play. Foto di Silvia Aresca Electropark

Non c’è una storia sola, ci sono le storie, che hanno per madre la capacità di dire ciò che si vede e, viceversa, di vedere ciò che si dice. Il nostro contributo è sostenere e ricambiare quello sguardo. È il modo canonico del pubblico di stare in una qualsiasi sala. I Fanny & Alexander nel loro Maternità ci danno la possibilità di esprimerci anche attraverso il voto.
Possiamo scegliere, o meglio contribuire a scegliere le direzioni dello spettacolo, indicando possibili sbocchi, esiti, soluzioni, attraverso l’uso di un piccolo telecomando che ci è stato consegnato all’ingresso. Per quanto la vicenda segua quella scritta da Sheila Heti nel suo libro omonimo, e a decidere il risultato delle votazioni non siamo né tu, né io, ma la maggioranza. Cioè, la rappresentazione del potere del senso comune, secondo cui, per esempio, soltanto l’avere figli realizza pienamente una donna. Un imperativo “culturale” e “naturale” attraverso cui il lavoro di Fanny & Alexander si fa strada per trovare la via di un’altra verità.
Dunque, Chiara Lagani e Luigi De Angelis indagano come fare un figlio alla soglia dei quarant’anni, ma anche come fare uno spettacolo, ovvero esplorano il racconto, ma anche il raccontare. La creazione si rivela una co-creazione. Così, Maternità prima di essere un esito, è un processo, in un andirivieni continuo tra scelta e rinuncia, immedesimazione e giudizio, o sospensione del giudizio. Il non sapere dove andare, eppure andarci tuttɜ insieme, ci fa restare in ascolto, con un’attesa legata ogni volta a un quesito diverso. Come il creatore di fronte alla sua nascente creatura.

Maternità. Foto di Antonio Ficai

Fino a qui è la scena ad averci posto le sue questioni. C’è un caso, all’opposto, in cui siamo noi a porre le nostre questioni alla scena, e che mi ha scatenato dentro questa riflessione, diciamo, sul teatro specchio di domande. Per statuto compositivo William Shakespeare’s Half Time Job del Teatro dell’Elce ci richiede di arrivare preparati, ossia con un interrogativo che desideriamo venga sciolto, o almeno interpretato. La dimensione è quella intima di una lettura personale dei tarocchi. Marco Di Costanzo, però, non è un cartomante: è un attore. La lettura è, a tutti gli effetti, una performance. Non parlano direttamente le carte, parla l’interpretazione che lui ne fa attraverso l’immaginario di William Shakespeare, tramite la sua visione filosofica ed etico-morale.
Si arriva, così, a toccare con mano tutta la forza del teatro, e di conseguenza la sua verità. William Shakespeare’s Half Time Job mi chiede di porgli una mia domanda di oggi, legata al me di oggi, e mi risponde con parole di ieri. Di più, con frasi, immagini e aneddoti non reali, ma finti, “taroccati” appunto, tratti da opere comunque di fantasia, seppure talvolta ispirate a fatti storici. Se parla anche a me, se parla addirittura di me, Shakespeare ha davvero inventato l’uomo, come sostiene Harold Bloom, ha creato personaggi vivi della vita stessa. E la vita è vita sempre. Di Costanzo con un mazzo di carte su un semplice tavolino di legno me ne ha dato la prova provata.

William Shakespeare’s Half Time Job. Foto di Federica Carriaggio

Una prima, provvisoria risposta, allora, alla domanda che mi hanno fatto questi quattro spettacoli di Inequilibrio 2023 – “Quando troverai il coraggio di raccontarti fino in fondo?” – è che mettersi in gioco è tutto, adattando liberamente l’«essere pronti è tutto» di Amleto. Per farlo, bisogna vedersi come, secondo me, si sono vistɜ Marta Ciappina e Marco D’Agostin, Giselda Ranieri, Chiara Lagani e Luigi De Angelis, Marco Di Costanzo: come classici. Classici nell’accezione di Italo Calvino, vale a dire, relegando l’attualità al rango di rumore di fondo ma nello stesso tempo sapendo che di quel rumore di fondo non si può fare a meno.

 

GLI ANNI

di Marco D’Agostin
con Marta Ciappina
suono LSKA
luci Paolo Tizianel
conversazioni Lisa Ferlazzo Natoli, Paolo Ruffini, Claudio Cirri
costume Lucia Gallone
costruzione elementi scenici Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa
promozione, cura Damien Modolo
organizzazione Eleonora Cavallo
amministrazione Federica Giuliano
produzione VAN
coproduzione Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e Fondazione CR Firenze, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Festival Aperto – Fondazione I Teatri, Tanzhaus nrw Düsseldorf, Snaporazverein
sostegni L’arboreto – Teatro Dimora, La Corte Ospitale Centro di Residenza Emilia-Romagna, CSC/OperaEstate Festival Veneto
con il supporto di Istituto Italiano di Cultura di Colonia/MiC-Direzione Generale Spettacolo e Tanzhaus nrw Düsseldorf, nell’ambito di NID international residencies programme

7 luglio 2023 | Teatro Nardini, Rosignano Marittimo

RE_PLAY
idea, coreografia, interpretazione Giselda Ranieri
collaborazione artistica Alessandra Sini Luca
luci e tecnica Luca Telleschi
video Ilaria Scarpa
produzione Aldes
con il sostegno di MIBAC – Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Direz. Generale per lo spettacolo dal vivo, Regione Toscana / Sistema Regionale dello Spettacolo; Lavanderia a Vapore; Teatro Comunale di Vicenza; Cooperativa Teatrale Prometeo – Centro Residenze Passo Nord
in collaborazione con AMAT, nell’ambito di Residenze Marche Spettacolo, promosso da Mibact, Regione Marche
progetto realizzato con il contributo di ResiDance XL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche azione della Rete Anticorpi XL Network Giovane Danza D’autore coordinata da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino

Prima Nazionale

9 luglio 2023 | Teatro Nardini, Rosignano Marittimo

MATERNITÀ
uno spettacolo di Fanny & Alexander
tratto dal racconto di Sheila Heti (traduzione Martina Testa, Sellerio editore, 2019)
drammaturgia, costumi Chiara Lagani
regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis
con Chiara Lagani
artwork Eleanor Shakespeare
architettura software multiscelta, cura del suono, supervisione tecnica Vinx Scorza
organizzazione, promozione Maria Donnoli, Marco Molduzzi
produzione e-production/Fanny & Alexander
grazie a Ateliersi, Giovanni Cavalcoli, Silvia Veroli

Prima Nazionale 

8 luglio 2023 | Teatro Solvay, Rosignano Solvay

WILLIAM SHAKESPEARE’S HALF TIME JOB
liberamente ispirato all’opera di William Shakespeare
di e con Marco Di Costanzo
suono Andrea Pistolesi
costumi Laura Dondoli
produzione Teatro dell’Elce
coproduzione Fondazione Armunia Castello Pasquini
con il contributo di Fondazione CR Firenze, Regione Toscana, Comune di Firenze
residenze artistiche Teatri d’Imbarco, Teatro delle Donne, Murate Art District
con il sostegno del Centro di Residenza della Toscana (Armunia-CapoTrave/Kilowatt), Comune di Sansepolcro

Prima Nazionale 

8 luglio 2023 | Castello Pasquini, Castiglioncello