LAURA NOVELLI | Sebbene supportato dal salmodiante abbraccio del coro, il grido dell’Antigone di Sofocle è un grido solitario. È un grido contro l’ingiustizia. Contro il sopruso. Contro la hýbris degli animi presuntuosi che osano sfidare la leggi divine e l’ordine pietoso dei sentimenti. È, tanto più, il grido di una donna, di una sorella, di una paladina dei diritti dei deboli. A distanza di millenni, la rivolta civile della figlia di Edipo contro il nómos di Creonte ancora affascina e commuove per la dicotomia netta in cui si consuma: da una parte, le ragioni dello Stato e della Politica, dall’altra, quelle della Famiglia e del Sacro. Da una parte, la legge maschile della città e dall’altra la legge femminile degli affetti.
La materia del contendere, come è noto, risiede nella ribellione cui l’eroina dà voce per garantire degna sepoltura al cadavere del fratello Polinice, morto in battaglia sotto le mura di Tebe per mano del fratello Eteocle (a sua volta ucciso da Polinice stesso). Al di là, tuttavia, del mito di Edipo e del Ciclo tebano, il perimetro in cui si muove questa straordinaria tragedia classica altro non è che quello della pietas di virgiliana memoria: quel grumo di umanità che da sempre accompagna l’essere umano, lo apre al mondo, lo consola, lo rende combattente o impietrito di fronte alle “dis-umane em-pietà”. Un universo immenso di sentimenti e contraddizioni in cui la protagonista, poco più che adolescente, agisce e muore coraggiosamente da sola.

Estremamente corale è, invece, la rilettura del capolavoro soflocleo che ha offerto l’eclettico drammaturgo, cineasta, regista, scrittore svizzero Milo Rau, ospite, ancora una volta, del Romaeuropa Festival con il suo applauditissimo Antigone in Amazzonia (Antigone in the Amazon), andato in scena al Teatro Argentina qualche settimana fa. Corale perché Antigone è qui un intero popolo in rivolta. Un popolo che piange la propria rovina, perpetrata da multinazionali usurpatrici (anche italiane) piegate alla spudorata “legge” del profitto e del capitalismo.I presupposti del lavoro – arrivato in Italia dopo altri celebri allestimenti di Rau, quali Familie e Grief & Beauty e inserito, insieme con ll nuovo Vangelo e Orestes in Mosul, nella Trilogia degli Antichi Miti – vanno rintracciati nell’incontro e nella complessa collaborazione con il  Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST), associazione che lotta da decenni per l’attuazione della riforma agraria in Brasile (qui un contributo video con le fasi del progetto svoltesi in Brasile). La storia del movimento, il passato tragico della sua azione politica, l’energia dolente dei suoi combattenti, la figura, soprattutto, dell’attivista Kay Sara hanno innescato nella sensibilità artistica di Rau un immediato richiamo alla vicenda di Antigone. Non tanto al suo alone mitico o simbolico quanto al suo sostrato civile, sociale. A quella stessa materia incandescente, cioè, che nel 1947 aveva ispirato la riscrittura della tragedia da parte di Bertold Brecht (opera dove, però, i due fratelli non si ammazzano a vicenda: Eteocle muore in battaglia e Polinice, avendo assistito alla fine de fratello, diserta il campo di battaglia per poi essere ammazzato e fatto a pezzi da Creonte/Hitler) e più tardi, in pieni anni Sessanta, il celebre allestimento del Living Theatre, dirompente, violento, coraggioso happening gestuale che proprio a Brecht – e alla “crudeltà” di Artaud – doveva molto.

Lo spettacolo di Rau – che dopo aver diretto per tanti anni il teatro NT/Gent dell’omonima città belga, dal 2024 sarà il curatore del Wiener Festwochen di Vienna – inizia prima che inizi. Inizia, cioè, dai manifesti e dagli striscioni che, proprio come in Il Nuovo Vangelo di cui avevamo scritto nel 2019, accolgono il pubblico nel foyer della sala capitolina chiedendo da subito un’attivazione di quella coscienza civile che troppo spesso resta muta, sepolta sotto strati di polverosi perbenismo e qualunquismo. E invece no: nell’incontro con questa operazione artistica non si può restare immobili, indifferenti. Complice un dispositivo scenico che, per certi versi, percorre strade lastricate di epicità e straniamento e per altri, invece, richiama a sé, come nella migliore tradizione teatrale di stampo mimetico.

Il sipario non esiste. Nella prima scena, quattro presenze fisiche e vocali, l’attivista Frederico Araujo, il musicista Pablo Casella, gli attori Sara De Brosschere e Arne De Tremerie (già nel cast di altre produzioni del regista svizzero) introducono lo spettacolo, la sua genesi, i ruoli che andranno a interpretare. Siamo dunque dentro un prologo-cornice dalla chiara fisionomia metateatrale, dove le note malinconiche della chitarra di Casella sottolineano, come in una litania archetipica, il “tremendo” (tà deinà, in greco) che agita il cuore umano – Molte mostruosità vi sono al mondo, ma nessuna è pari all’Uomo –, vivificando il primo stasimo del testo sofocleo e anticipando, in un’analessi che farà da leitmotiv all’intera creazione, il tema più cogente dello spettacolo. Tema che verrà poi ampliato, moltiplicato, declinato in un continuo assemblaggio di materiali diversi e in una fluida sovrapposizione o, meglio, coincidenza di performance dal vivo e immagini filmiche, tanto che il personaggio stesso di Antigone sarà affidato contemporaneamente a Kay Sara negli inserti video e ad Araujo nelle scene dal vivo.

La partitura originale vi è però tutta, spazializzata in un’attualizzazione che soppesa con estrema abilità reale e finzione. Il coro, ad esempio, trova nei volti mesti dei braccianti brasiliani, nei loro costumi colorati, nei loro canti, nelle loro narrazioni, la sua emozionante trasposizione. Altrettanto ricco di pathos è il ricordo del massacro di Eldorado do Carajàs del 1966, nel corso del quale diciannove contadini senza terra che stavano occupando per protesta un ranch privato vennero uccisi dalla polizia militare: un passaggio che segna senza dubbio uno dei momenti più crudi del lavoro.

E poi la terra. La terra rossastra che copre il palcoscenico e ritorna come elemento chiave in molte scene filmate. Questa terra sembra uno slittamento simbolico del cadavere di Polinice da difendere. La terra è radice, è polmone vitale, è sussistenza, è appartenenza a un ghenos. Ma la terra è anche una coltre sporca di sangue e lacrime, culla di tremendi sacrifici. La terra sul suo corpo è luce, canta il coro. Lo si vede e lo si ascolta attraverso un grande schermo, eppure sembra che stia lì, sul palcoscenico. Vicino al pubblico.

Ed è proprio questa avvolgente tensione tra teatro e cinema, tra presenza e assenza, ciò che maggiormente colpisce del linguaggio di Antigone in Amazzonia. Non solo teatro, non semplice teatro documentaristico e neppure solo cinema. Piuttosto, una terza via: un organismo di presenze materiali e immateriali assolutamente funzionali le une alle altre che hanno, insieme e proprio perché tali, la capacità di risultare politiche e al contempo liriche. Presenze che indignano ma, intanto, commuovono. Ingaggiano una riflessione e, intanto, smuovono l’animo. Ricordando, altresì, che la tragedia di Antigone è davvero una tragedia che può accadere adesso e sempre.
In Amazzonia, come in Ucraina o a Gaza.

ANTIGONE IN AMAZZONIA

ideazione e regia Milo Rau
testo Milo Rau & cast
in collaborazione con Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST)
con Frederico Araujo, Sara De Bosschere, Pablo Casella, Arne De Tremerie
in video Kay Sara, Gracinha Donato, Célia Marácajá e  il Coro dei Militanti del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra – MST e, nel ruolo di Tiresia, Ailton Krenak
drammaturgia Giacomo Bisordi
collaborazione alla drammaturgia Martha Kiss Perrone, Douglas Estevam da Silva
assitenti alla drammaturgia Kaatje De Geest, Carmen Hornbostel
collaborazione all’ideazione, alla ricerca e alla drammaturgia Eva-Maria Bertschy
video Moritz von Dungern
musica Elia Rediger, Pablo Casella
scenografia Anton Lukas
costumi Gabriela Cherubini, Jo De Visscher, Anton Lukas
luci Dennis Diels
video making videoclip musicale Fernando Nogari
montaggio video Joris Vertenten
assistente alla regia Katelijne Laevens
assistenti alla regia volontarie Chara Kasaraki, Lotte Mellaerts
responsabili di produzione Gabriela Gonçalves, Klaas Lievens
assistente di produzione Jack Dos Santos
responsabile tecnico Oliver Houttekiet
direttore di scena Marijn Vlaeminck
un ringraziamento a Carolina Bufolin
produzione NTGent
coproduzione International Institute of Political Murder – IIPM, Festival D’Avignon, Romaeuropa Festival, Manchester International Festival, La Villette (Parigi), Tandem (Arras-Douai), Künstlerhaus Mousonturm (Francoforte), Equinoxe – Scène Nationale (Châteauroux), Wiener Festwochen (Vienna)
in collaborazione con Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST)
con il sostegno di Goethe Institut – San Paolo, PRO HELVETIA programma COINCIDENCIA – Scambi culturali tra Svizzera e America Latina, The Belgian Tax Shelter

Romaeuropa Festival 2023 – Teatro Argentina | 3-4 ottobre 2023