ELENA SCOLARI | Antonio Albanese, creatore di una galleria impareggiabile di personaggi ‘tipo’, nel 2008 aveva inventato il Ministro della Paura, accompagnato dal Sottosegretario all’Angoscia. Comparso per la prima volta nello spettacolo Psicoparty, entrava in scena sulle note del Dies irae e con una maschera di lattice che gli copriva metà del voto. Era un uomo inquietante, comico ma ammantato di un’aura nera e apocalittica che non poteva lasciare indifferenti, rappresentava in maniera spietata la ricerca del consenso di tanti politici che hanno cavalcato il sentimento provato dai cittadini sfruttando i loro timori di fronte alle sfide che la società poneva; usciva di scena distribuendo manciate di psicofarmaci e consigliando «Guardatevi con sospetto, odiatevi, comprate armi!».
Un Ministro così non è mai esistito in Italia ma la paura ha guidato molte delle scelte fatte negli ultimi anni in questo Paese. In Gran Bretagna, invece, nel 2018 è stato davvero nominato un Ministro della Solitudine dal governo guidato da Theresa May (che si sarà sentita sola pochi mesi dopo l’insediamento), cui l’anno successivo ha fatto seguito la creazione del relativo dicastero, con l’obiettivo di far fronte ai disagi psicologici di molti cittadini britannici, pare infatti che 9 milioni di inglesi abbiano dichiarato di sentirsi spesso o sempre soli. Sarà che vivono su un’isola, sarà che hanno votato la Brexit, c’è tanta loneliness. E questo già prima del Covid.

Da questo fatto di cronaca internazionale prende spunto lacasadargilla per l’omonimo spettacolo Il ministero della solitudine, con la drammaturgia del testo di Fabrizio Sinisi
e la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, entrambi freschi di Premio UBU 2023 per la miglior regia per Anatomia di un suicidio (che è anche il Miglior spettacolo dell’anno) e per Il ministero stesso.

Un grande reticolo di barre bianche al neon delimita il fondo palco, la scena è occupata da un alto prisma triangolare e girevole messo al centro a mo’ di monolite, i cui tre lati diventano le ambientazioni in cui agiscono i cinque personaggi, tutti in cerca di uno scopo nella vita: la giovane Alma (Giulia Mazzarino) esce poco, ha quasi sempre le cuffie in testa, si preoccupa di spazio e supernove; F. (Francesco Villano, anche lui Premio UBU 2023 come migliore attore) si è appena separato e intraprende la carriera di apicoltore; Teresa (Caterina Carpio) è la madre di Alma, decide di diventare una scrittrice ed è velleitariamente alle prese con il suo primo romanzo; Primo (Emiliano Masala) è quello messo peggio: convive con una bambola che lava e veste e con la quale organizza pic-nic e si guadagna da vivere facendo il “pulitore” di social: in 8 secondi deve decidere se eliminare o conservare i post e scandisce il suo tempo tra i comandi “delete” e ignore”; Simone (Tania Garribba) è una funzionaria del Ministero, parla al telefono con gli utenti e impartisce loro un percorso/decalogo fatto di passi da seguire per combattere la solitudine: osare dire la propria opinione, fare cose che escano dalla propria comfort zone e simili, anche lei pare avere bisogno dell’istituzione per cui lavora.

I cinque entrano in scena in una lunga sequenza iniziale che li vede ballerini sconnessi, impegnati in passi eseguiti a scatti, come posseduti da un improvviso spirito cinetico che poco ha a che fare con il vero ballo (drammaturgia del movimento Marta Ciappina, premio UBU 2023 come miglior attrice/performer), ognuno è chiuso nel suo personale prisma, poche le interazioni e gli intrecci tra le storie; lo spettacolo procede infatti perlopiù per quadri, slegati tra loro e che una regia sempre calcolata ci presenta privi di inizio e fine, come spezzoni che sbirciamo mentre si svolgono.

ph. Claudia Pajewski

I balletti sgraziati delle cinque solitudini sono contrappuntati da una playlist nostalgico/generazionale che va da Under pressure di David Bowie a Too many people dei Placebo alla sempreverde Sweet dreams degli Eurythmics fino alla meteora dei Four non blonds con What’s going on, per arrivare a Lucio Battisti con Dieci ragazze per me e Acqua e sale, cantate – in un finale maldestramente pop – in un tipico e squallido locale di karaoke, l’Only you, nel quale entriamo grazie alla discesa dalla graticcia di un’insegna al neon con una palma.

Questo lavoro suggerisce, ma si limita a suggerire, l’analisi di uno dei massimi problemi esistenziali del nostro tempo senza però azzardare vere riflessioni. La struttura per quadri paralleli somiglia all’impianto del ben più profondo Anatomia di un suicidio (testo di Alice Birch, Premio UBU 2023 come miglior testo straniero – spettacolo successivo al Ministero), lo stile sincopato e la recitazione precisa ma algida – tranne Francesco Villano ed Emiliano Masala, entrambi con una carica umana calorosa – non coinvolgono mai davvero nei drammi di un quintetto di figure in fondo povere di spirito, tale povertà sarebbe proprio il punto in cui affondare per disturbare un poco il pubblico invece di blandirlo. Se in Anatomia il testo di Birch (in Italia nella bella traduzione di Margherita Mauro) non risparmia parole di crudeltà lucida sulle incapacità umane delle tre generazioni in scena, in questo Ministero si abbozzano tragedie senza riuscire a presentarle come tali.


Primo, il personaggio più angosciante, non trova di meglio che dedicarsi a un manichino femmina, Marta, unico destinatario delle sue attenzioni, ed è una condizione non paragonabile alle altre per grado di tragicità e assenza di speranza: quale peggior solitudine di quella che che si cerca di superare con la finzione di una relazione di plastica? Eppure Primo finisce a cantare Battisti, forse obbedendo a uno dei passi del protocollo ministeriale, facendo sorridere la platea che dovrebbe invece essere raggelata davanti a uno sfacelo emotivo di tal fatta.
Alcuni perni dello spettacolo sono evidenti: la frammentazione dei rapporti che impedisce ai singoli di sentirsi parte di una qualunque collettività; lo smarrimento di persone che sbattono contro il vetro per non sapere identificare la propria via; il far girare a vuoto le giornate finendo per danneggiarsi; l’assenza di relazioni in frazioni di storie e persone che non si sfiorano. Anche se nelle note di regia, poi, si fa cenno alla difficoltà del desiderio, in realtà i desideri emergono chiari sia per Primo sia per Teresa sia per F. quello che manca è il collegamento con qualcuno che li realizzi con loro: questi uomini e queste donne non sono apatici, sono semmai compressi. L’istituzione ministeriale chiude i battenti a fine spettacolo, smettendo la sua missione di supporto a queste anime fluttuanti.
La paura si insinua sotto le porte come uno spiffero, non la vedi ma la respiri, blocca i singoli che se perdono il contatto con il prossimo si sentono più deboli. L’unica possibilità è ritrovare la pluralità, tornare a formare una comunità reale e “tattile”, anche in teatro.

 

IL MINISTERO DELLA SOLITUDINE 

uno spettacolo di lacasadargilla
parole di e con Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano
drammaturgia del testo Fabrizio Sinisi
regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni
drammaturgia del movimento Marta Ciappina
cura dei contenuti Maddalena Parise
spazio scenico e paesaggi sonori Alessandro Ferroni
luci Luigi Biondi
costumi Anna Missaglia
aiuto regia Caterina Dazzi / Alice Palazzi
assistente al disegno luci Omar Scala
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato

Piccolo Teatro Grassi, Milano | 14 dicembre 2023