GIANNA VALENTI | The Creative Habit – learn it and use it for life è il testo pubblicato nel 2003 da Twyla Tharp a quasi quarant’anni da Tank Dive, la sua prima coreografia nel 1965, e allo scoccare della sua centoventottesima. Anche se il libro si presenta come un oggetto di manualistica tipico del mercato americano (a practical guide), a condurci non sono tanto le proposte di esercizi alla fine di ogni capitolo ma la disponibilità della coreografa a esprimersi verbalmente sul linguaggio fisico e coreografico e a decostruire i percorsi della propria creatività, in un confronto ricco e curioso con le pratiche artistiche di scrittori, musicisti, registi, pittori, fotografi, ma anche di scienziati e manager.
Tharp, che si è formata alla danza sin da piccolissima e che ne ha attraversato i diversi idiomi — dal classico dell’America Ballet Theatre, al moderno di Martha Graham e Paul Taylor, al postmoderno di Merce Cunningham e alla sperimentazione performativa dei Judson choreographers — scrive un testo che è un inno al proprio desiderio inarrestabile a confrontarsi con il mondo e le sue diverse forme espressive, sia per riconoscere e archiviare materiali da portare sulla scena, che per modulare routine creative per l’evoluzione di un linguaggio coreografico.
(Il percorso formativo e coreografico di Twyla Tharp è ampio e articolato e questa voce dell’Enciclopedia Britannica è un’ottima sintesi della sua produzione, mentre qui trovate una presentazione dell’Academy of Achievment che copre la sua attività sino al 2021. In questo video — che si riferisce alla sua coreografia del 1971 Eight Jelly Rolls — incontrate la sua fluidità postmoderna, rilassata e profondamente incarnata nell’uso del linguaggio verbale in relazione alle azioni motorie e coreografiche). 

Twyla Tharp, The Creative Habit, Book Cover

The Creative Habit propone la coreografia come pratica quotidiana, con percorsi per sostenere la creatività e per sviluppare consapevolezza sulle necessità del lavoro coreografico. La composizione attraverso il linguaggio della danza è così presentata come un’azione che dal lavoro fisico dei danzatori assume il senso della routine, dell’organizzazione dei materiali e della reiterazione di pratiche. “Ho pensato a lungo — racconta Tharp— cosa significa essere creativi e come farlo […] Per essere creativi dobbiamo prepararci a essere creativi.
Un’affermazione che può sembrare troppo semplice da parte di un’artista che ha affrontato il vuoto di una sala prove per centinaia di volte, ma che risulta in tutta la sua forza se si assiste anche solo per un paio di volte a una qualche forma di concorso coreografico dove, ciò che spesso non comunica, è il rincorrere idee e la coreografia episodica. Eppure, i danzatori, rispetto alla necessità di un impegno creativo nella composizione, hanno il grande vantaggio di conoscere fisicamente e mentalmente il valore dei rituali e delle pratiche e hanno corpi già predisposti a ospitare e a far crescere un’attenzione coreografica ininterrotta come attenzione verso il sé e il mondo.
Sono infatti di valore relazionale e transazionale le abitudini creative che preparano Tharp al lavoro coreografico: “Tutto quello che accade nella mia giornata è una transazione tra il mondo esterno e il mio mondo interno. Tutto è materia prima. Tutto è rilevante. Tutto è utilizzabile. Tutto alimenta la mia creatività. 

(Questo video per il 50° anniversario di Twyla Tharp contiene molti filmati originali in cui vederla danzare e offre anche l’occasione di ascoltarla su ciò che per lei è danza.
Eight Jelly Rolls è la coreografia della Tharp del 1971 in cui utilizza i linguaggi della clownerie e di Buster Keaton. Qui il video per ascoltarla e vederla danzare.
Fait Accompli è una coreografia del 1983 della Twyla Tharp Dance Co. che ben rappresenta la pluralità di idiomi e fonti di movimento usate dalla coreografa; in questo video è danzata dalla Hubbard Street Dance Chicago.
Qui trovate il video completo di The Catherine Wheel, il suo progetto con David Byrne del 1975. Può essere interessante la sezione in cui pulire e spostare rifiuti diventa una scena di danza di gruppo — a 42’.30’’.)

Se entrare in una stanza bianca è affrontare il proprio sé con paure, desideri, distrazioni, bisogni, passioni, pregiudizi e altro, ci confida Tharp, è però la presa di consapevolezza del proprio DNA creativo ciò che guida il lavoro e ciò che la coreografa sceglie di condividere con il mondo attraverso l’espressione coreografica, incoraggiandoci, attraverso questo testo, a riconoscerla anche nel nostro lavoro, qualunque esso sia: “Credo che tutti noi abbiamo filamenti di codice creativo fissati nella nostra immaginazione. Questi filamenti sono saldamente impressi in noi come il codice genetico che determina la nostra altezza e il colore dei nostri occhi, tranne che governano i nostri impulsi creativi. Determinano le forme in cui lavoriamo, le storie che raccontiamo e il modo in cui le raccontiamo.
Tharp ci parla di altri artisti e di altri sguardi per ricordarci che il nostro DNA creativo è ciò che il mondo si aspetta e ci chiede di immettere nel lavoro; è la nostra identità più profonda che si comporta come una lente focale che determina i nostri sguardi sulla realtà. E così il DNA creativo di Ansel Adams lo porta a registrare la terra e il cielo nella loro forma più espansiva, quello di Jerome Robbins testimonia del mondo visto da una distanza media, con i suoi balletti che propongono scene di vita reale, con danzatori che guardano altri corpi danzare. O, ancora, quello di Raymond Chandler che lo fa procedere in una scrittura come fitta serie di piani ravvicinati, a testimonianza di una pratica che gli faceva tenere elenchi di dettagli sulla propria vita e su quella degli altri e, infine, il suo stesso DNA che si muove senza sosta tra gli estremi del “coinvolgimento” (involvement) e del “distacco” (detachment), lo stare dentro un pezzo — dal nucleo più profondo conoscendone tutti i dettagli — per poi ritrarsi, allontanandosene, così tanto da diventare una sorta di surrogato del pubblico o di “Regina del Distacco.”

Twyla Tharp nel suo studio di New York, 2020. Crediti Stick Figure Films

Tharp definisce scratching il proprio relazionarsi con il mondo, una sorta di grattare, scalfire, scavare per incontrare, trovare, usare. Un’abitudine ad abitare e ad attraversare il flusso dello spazio e del tempo con un’attenzione quotidiana a selezionare, raccogliere e conservare, perché “le idee sono tutte intorno a te”, scrive. La coreografa propone pratiche di attenzione e di sguardo che nel suo immaginario diventano una sorta di appropriazione o di prestito di ciò che il mondo le offre: scratching diventa così un modo di guardare, leggere, ascoltare e muoversi che imposta una modalità di lavoro sempre attiva per scegliere, selezionare e custodire elementi creativi per il presente e il futuro del suo fare coreografia. Fare scratching, ci confida, “È primordiale e molto privato. È un modo per dire agli dei: “oh, non preoccupatevi, vagherò in questi corridoi sul retro… e poi afferrare quel pezzo di fuoco e correre via a tutta velocità.
Scegliere e appropriarsi attivano la necessità di conservare, archiviare, mischiare o separare con una pratica di sostegno che è semplicemente creare scatole (“before you can think out of the box you have to start with a box”) — molte, innumerevoli, spostatili, caotiche — la scatola come sostituto del creare, come deposito del potenziale creativo. La scatola non crea un passo di danza, ma è “l’indice grezzo” della sua preparazione, il suo contenuto una sorta di previsione del lavoro coreografico sulla scena, la sua organizzazione un attraversamento delle fasi strane e disordinate della creazione.

(Se pensate che organizzare una scatola contenente tracce fisiche e memorie scritte o disegnate sia un metodo superato nell’era digitale, va detto che molti creativi ancora pensano che lo spazio della scatola abbia un qualche potere di trasformazione sui materiali inseriti. Tharp ha comunque un seguace digitale che segue un metodo creativo organizzativo che ha affinità con il suo e che viene chiamato PARA Method)

Se sin qui le sue pratiche creative sono condivisibili con altri settori della creatività umana, e il suo libro è infatti diffusissimo anche tra chi non pratica la danza, lo scratching che riguarda i materiali motori, gestuali e posturali del corpo umano si fa abilità specifica di un corpo che danza e che agisce un’altissima empatia verso il movimento che appartiene ad altri corpi. Così, lo scratching in una sala prove, su corpi incontrati nella realtà fisica, diventa per lei shadowing, letteralmente diventare l’ombra di un altro corpo che danza, non semplicemente copiandone la forma dei movimenti, ma mettendosene sul corpo le modalità posturali, organizzative e qualitative e indossando così nei dettagli il modo in cui il movimento viene agito.
È questo, ci racconta, il modo in cui ha imparato veramente a danzare, facendo shadowing dei corpi dei grandi danzatori che ha incontrato: “get busy copying” (“datti da fare a copiare”) è il suo consiglio, perché entrare nella grandezza, nei percorsi, nelle orme di un altro corpo è un modo straordinario per acquisire competenze. Ma è anche fare scratching memorizzare la postura di una statua in un museo o l’organizzazione di un gruppo di corpi su una ceramica antica o, ancora, appropriarsi del vocabolario e delle modalità di movimento dei grandi corpi del modernismo attraverso l’immobilità delle loro fotografie nell’estesissima Dance Collection alla New York Public Library.

(Vi lascio alcuni video a disposizione su YouTube che possono dare testimonianza della ricchezza delle fonti di movimento, dal balletto al quotidiano, dal jazz al moderno, dal postmoderno al pop, solo per citarne alcune:
In The Upper Room, balletto del 1986 su musiche di Philip Glass, qui danzata dal Bolshoi Ballet.
Alcuni passaggi da The Catherine Wheel spiegati dalla stessa Tharp, qui il video.
Tharp al lavoro con Mikhail Baryshnikov nel 1975, qui il videoa  3’.33’’ il risultato su scena del loro incontro, Push Comes to Shove.
Hair, film musicale del 1979 con coreografia di Tharp, danza di gruppo The Age of Aquarius a 3’.50’’).

Questo attraversare il mondo per incontrare, scegliere, memorizzare, organizzare, archiviare, riutilizzare è sicuramente l’identità più profonda di Twyla Tharp. Sono le antenne sempre accese di un corpo che si ascolta e ascolta, che si muove nella realtà per ampliare consapevolmente la propria memoria e dilatare la propria conoscenza, perché la creatività per lei è sempre dietro l’angolo e l’intero mondo, dentro e oltre la sala prove, una sorta di museo infinito di cui appropriarsi. Catturare quei materiali è un processo semplice che richiede pratiche quotidiane di creatività,  così come organizzare i materiali per dare forma a dei primi percorsi testuali, strani e disordinati.
Entrare in sala portando i materiali sul corpo, come una sorta di archivio vivente, e improvvisare per scoprirne l’evoluzione è il passo successivo, mentre dare forma a un possibile ordine è seguire le modalità comportamentali di un asse organizzativo scelto che Tharp chiama spine, letteralmente “colonna vertebrale”, una sorta di sistema ordinante ed espansivo che magnetizza i materiali.
Ma così come nel suo attraversare il mondo c’e spazio per il vagabondare mentalmente senza seguire un senso o per una semplice passeggiata senza aspettative, così nell’improvvisazione dei materiali danzati c’è spazio per l’inatteso e il non pianificato. Tharp può affermare che per essere creativi bisogna prepararsi a esserlo, ma che ogni pianificazione può solo funzionare se la si abbandona lasciando che i materiali vengano attraversati  dal respiro. Guardatela danzare su Zoom solo un paio di anni fa e ascoltatela: “Sono sempre stata il mio strumento migliore. Lavoro quando e come ne ho bisogno, così ho potuto sviluppare molti materiali su me stessa. Le danze nascono dai danzatori. Non faccio danze, danzo e poi qualcosa inizia ad avere un senso.” (qui, a 1’)

L’unica cosa che temo più del cambiamento è il non cambiamento. Il fatto di non potermi muovere mi fa impazzire. Devo sentire che ogni cosa che ho imparato potrò spingerla  a un altro punto la volta successiva. Non sono molto brava a ripetere. Preferirei non lavorare piuttosto che sapere che la ripetizione è il programma del giorno.”  (Twyla Tharp, Academy of achievement.org)

 

Twyla Tharp. The Creative Habit, learn it and use it for life.  Simon & Schuster Paperbacks, 2006.  © 2003 by W.A.T. Ltd.