CRISTINA SQUARTECCHIA | Lovetrain2020 della Emanuel Gat dance è un lavoro potente, un tuffo nel passato, nelle memorie di ognuno. È una festa collettiva che scorre in parallelo su due piani: lo spazio del visibile, dell’esibito e quello che resta dietro, nascosto. Realizzato nel 2020 – l’anno delle chiusure – e portato in Italia nel 2021 al festival Equilibrio di Roma,  è stato poi riproposto nelle diverse cornici festivaliere della penisola  in queste settimane, conquistando il pubblico della danza e non. Al Teatro delle Muse di Ancona, per la stagione di teatro e danza di Marche Teatro, lo spettacolo ha sedotto la colma platea.
Lovetrain2020 è stato realizzato dal coreografo israeliano in collaborazione con i suoi 14 straordinari danzatori, sulle musiche del duo britannico Tears for fears. In scaletta 13 brani scelti della storica band alternati a momenti di silenzio e di sola danza. La musica, la potenza del groove anni Ottanta, il fascino dei synth fanno di questo lavoro una coreografia di rara bellezza. A distanza di giorni restano ancora vive certe scene, alcuni frammenti o movimenti che hanno il potere di radicarsi nella memoria dello spettatore.  Sarà la forza dirompente della musica dei Tears for fears che il coreografo israeliano interiorizza, filtrandola sui corpi dei danzatori non solo attraverso la consapevolezza metrica e ritmica dei brani ma con una sensibilità drammaturgica istintiva e poetica insieme. Emanuel Gat (1969) è approdato alla danza a 23 anni, sviluppando una propria qualità stilistica e compositiva dove l’elemento sonoro è sempre stato il cuore pulsante del suo agire coreografico. Basti pensare alla sua versione de La sagra della primavera con soli 5 danzatori che ballano la salsa  sulla partitura di Igor Stravinskij, e ad altri in cui la relazione con la musica non è mai di appoggio, conflitto o semplice sfondo, ma molto di più. In Lovetrain2020 ciò emerge con grande vitalità: i brani dei Tears for fears vengono usati per celebrare il bisogno dell’altro, dell’aggregazione, anche quando questa inquieta, riferendosi a un periodo storico di forzato isolamento e solitudine.

È per questo una creazione inclusiva, intrinsecamente corale, dove il senso del gruppo e della condivisione guidano le danze che si spostano, come masse informi da un punto all’altro dello spazio. Sulle prime note di Ideas of Opiates si scopre il fondale sul quale si scorgono dei tagli simmetrici, oltre i quali si intravede un’altra vita, nascosta.  E un po’ alla spicciolata  i danzatori sbucano da questi occupando lo spazio in vari punti con movimenti quasi di preparazione, in un andirivieni apparentemente caotico tra la scena e oltre il fondale.
All’attacco di The Prisoner il gruppo sembra ricomporsi intorno a un’idea comune di movimento, fatta di scatti nervosi, a tratti scoordinati, mescolati a passi più tecnici e virtuosistici fino a quando non si dispone in linea parallela sul boccascena. I danzatori avanzano sfilando abiti bizzarri, estrosamente assemblati con stoffe di vario genere dal gusto barocco ed elisabettiano per i colletti di camicie bianche con polsini e maniche svolazzanti, sopra ad ampie e asimmetriche gonne dai colori decisi, che lasciano liberi e scoperti gli arti.  Il tutto disordinatamente giustapposto dal costumista Thomas Bradley.  In questo caotico “métissage” di elementi, le luci dall’alto avvolgono i danzatori che in fila sul boccascena si presentano con gesti individuali, di memoria bauschiana.

Una geometria pronta a dissolversi all’ingresso di brani più popolari come Mad world in cui il gruppo si scompone e ricompone in dinamismi corali che si spostano in velocità da un punto all’altro della scena, quasi mangiando lo spazio circostante; un flusso di corpi non definito nei contorni. L’unisono non è mai volutamente perfetto e lascia imprecisioni e ritardi voluti che servono di passaggio alla  sequenza successiva, come in una catena di braccia, gambe e schiene che scorre senza soluzione di continuità. Si creano così piccoli  terzetti, duetti entro i quali esplodono le singole individualità o vi si colgono dei quartetti in tondo che alludono alle antiche strutture di danze barocche. Nei silenzi dilatati tra un brano e l’altro si assiste ai cambi di scena, giocati su frammenti individuali posti al limite del boccascena, quasi a cercare chissà quale relazione con il pubblico, mentre risuonano fisicità sfrontate, capaci di oltrepassare i confini del possibile nelle leggi della cinetica, per una danza lontana da tanti déjà vu. Sono questi i momenti di Shout  con un solo maschile pieno di tenerezza e impeto insieme, oppure quando in silenzio una doccia di luce dalle tante gradazioni di rosso avvolge un danzatore in “slip” che si muove liberandosi dai suoi demoni in posizioni improbabili.

Ma il tutto nella pièce sembra esplicitarsi sulle prime note di The famous last words quando un solo danzatore accenna a qualcosa che sul colpo netto del brano scoppia: il fondale si alza, ciò che era nascosto si svela e i danzatori avanzano riprendendo quella catena danzante dell’inizio sul brano di Sowing the seeds of love. Si ritrova lo stesso gruppo scultoreo e festante dell’inizio, multiforme e gaio.
Una sorta di lascito in questo brano che irrompe, dal cui testo si estrapola il titolo della pièce e il senso di questo treno d’amore che semina semi di pace e tolleranza con un effetto contagioso come tutta la danza di questa pièce. Così Emanuel Gat nel fragore poetico del pop anni Ottanta ci consegna un lavoro definito “musical contemporaneo”, per immaginare un mondo migliore.

LOVETRAIN2020

musiche Tears For Fears 
coreografia e luci Emanuel Gat
danzatori Eglantine BartTara DalliNoé GirardNikoline DueGilad Jerusalmy, Péter JuhászMichael LoehrEmma MoutonRindra RasoavelosonAbel Rojo PupoKarolina SzymuraSara Wilhelmsson
costumi Thomas Bradley 
realizzazione costumi Thomas Bradley, Wim Muyllaert  
direzione tecnica & supervision Guillaume Février
suono Frédéric Duru
sarta di scena Marie-Pierre Calliès
foto di scena Julia Gat
produzione Emanuel Gat Dance Marjorie Carré, Mélanie Bichot
coproduzione Festival Montpellier Danse 2020, Chaillot – Théâtre national de la Danse, Arsenal Cité Musicale – Metz, Theater Freiburg, with the support of Romaeuropa Festival.

Teatro delle Muse, Ancona | 14 aprile 2024