ANTONIO CRETELLA | Si vuole, testuali parole, evitare un lockdown “a qualunque costo”. Una frase fatta, un espediente retorico che, nelle intenzioni del locutore, vuole esprimere l’impegno indefesso per evitare l’inevitabile, per mostrare la tenuta delle truppe di fronte all’attacco del nemico. Se, tuttavia, ci si ferma a chiedersi cosa s’intenda per costo, quale importo etico, economico e biologico si andrebbe a pagare, c’è da rabbrividire al solo udire l’espressione venire dalle bocche retoriche dei governanti a vario titolo. Qualunque costo, senza distinzione, vuol dire letteralmente registrare, nell’angosciosa contabilità della trattativa Stato-Covid, che si concede a quest’ultimo un ricco pagamento in vite umane, un banchetto sacrificale sull’altare di più cogenti necessità. Qualora lo si facesse notare a chi usa il modo di dire, direbbero sdegnati che non intendono certo una cosa così macabra, che le loro parole vengono strumentalizzate. Eppure in contesto di morte e sofferenza diffusa in cui un costo molto alto è stato già dolorosamente pagato, dovrebbero rendersi conto dell’infelicità di certe espressioni, riflettere sul peso delle parole, perché “costo” è una delle parole chiave per comprendere le dinamiche etico-sociali della pandemia: non può sfuggire il divario economico che caratterizza la lotta di classe del virus che, pur infettando democraticamente ogni censo, trova nella classe dei potenti interi reparti riservati e cure sperimentali inaccessibile alla gente comune, rendendo evidente quanto, per l’appunto, il costo sociale della pandemia ricada fisicamente sui poveri del mondo.