ELENA SCOLARI | Il 2021 ha visto una scorpacciata teatrale di spettacoli dedicati, ispirati, ingabbiati intorno al G8 di Genova di venti anni fa; l’iniziativa più strutturata è stata il G8 Project organizzato a maggio dal Teatro Nazionale di Genova di cui PAC ha dato ampio resoconto. Il senso delle operazioni-memoria (non dovremmo dire nostalgia) come queste è che poi, se i lavori hanno consistenza, proseguano una vita propria anche dopo la scadenza temporale degli anniversari. Non succede spesso, è infatti più facile accodarsi a un argomento o a un fatto emblematico godendo dell’eco momentanea piuttosto che approfondire, riflettere, assimilare e problematizzare andando oltre la cronaca e il ricordo personale.
La giovane compagnia Usine Baug vince con Topi il Premio Scenario Periferie 2021 (programmato nella stagione di Campo Teatrale a Milano). Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, Claudia Russo (interpreti) e Emanuele Cavalcanti (luci e tecnica) costruiscono insieme uno spettacolo che mescola documentazione e racconto degli accadimenti a un’evidente metafora casalinga della “caccia” avvenuta nella città ligure fuori dalle case.

Rocco e Russo, vestiti di nero e con gli anfibi, sono due narratori, impegnati anche in azioni di servizio sulla scena (reggono un telefono, fungono da appendi-citofono), fanno proprie le testimonianze di chi a Genova c’era (loro erano troppo piccoli per andarci) e scandiscono i punti salienti di quelle giornate nefaste. Girano intorno a Pingitore che occupa lo spazio drammatico di finzione: Sandrone è in cucina (si presume a Genova benché l’accento dei messaggi lasciati sulla sua segreteria telefonica sia tutt’altro che ligure) e la sua casa è infestata dai topi. Deve organizzare una cena e riceve al pianerottolo numerosi doni da parte dei vicini o forse da un portinaio zelante, l’armamentario per combattere la battaglia topicida: disinfestanti, trappole, gabbie…
Il parallelo è chiarissimo: Sandrone caccia con lo scopettone i fastidiosi roditori per stanarli e finirli e la polizia cacciò i manifestanti in strade senza uscita durante i cortei e li chiuse, come in gabbia, nella scuola Diaz a Bolzaneto.

La metafora è d’effetto, non originale ma d’effetto. È però imprecisa: anche se sappiamo che i topi non fanno il loro lavoro di topi in malafede, siamo tutti concordi nel volercene disfare quando ci entrano in casa e nessuno si sente colpevole nei loro confronti; assimilarli ai no-global d’allora è quindi un poco superficiale e assai scivoloso. Anche perché Sandrone (il capitalismo? la polizia?) non sembra avere la meglio sui ratti. Questa può essere ritenuta un’osservazione speciosa, ma se – come è – si vuole difendere un movimento e le tante persone che furono vittime di un episodio esecrabile e, quel che è peggio, preordinato, l’assimilazione a un elemento universalmente percepito come negativo non pare completamente adeguato.
È anche curioso che i topi nei fumetti e nei cartoni animati, da Mickey Mouse a Geronimo Stilton agli aiutanti magici di Cenerentola, siano animaletti deliziosi e che nel mondo reale godano di così poca simpatia, ma questa è questione cultural-zoologica da non affrontare qui.

Lo spettacolo ha una struttura drammaturgica precisa che intreccia le parti narrative che conducono gli spettatori in un racconto riassuntivo del summit alle scene domestiche tra preparativi per la cena e piani di attacco alle bestiole di cui liberarsi. Pingitore è convincente nel suo atteggiamento nervoso, spazientito, continuamente interrotto. Rocco e Russo si muovono bene nello spazio della scena ma, per una consapevolezza interpretativa ancora acerba, non riescono sempre a equilibrare il coinvolgimento che vorrebbero trasmettere e la distanza di una cronaca.

D’effetto sono anche le scene in cui i due narratori, tra molto fumo e con maschere da toponi, rovesciano i tavoli e danno un’idea concreta della confusione che doveva regnare durante gli scontri più duri. Buone le soluzioni del piano luci di Emanuele Cavalcanti, curato e inventivo.
Tra il fumo risuona I migliori anni della nostra vita di Renato Zero (i cui fan si chiamano sorcini, per inciso), una canzone il cui tasso di retorica supera anche la coltre di fumo, ahinoi.

Mettere in scena uno spettacolo sul G8 del 2001 è difficile, e lo abbiamo visto anche nel progetto genovese cui abbiamo accennato. L’impresa di Usine Baug è dunque ambiziosa e la sfida ad alto rischio. Il rischio è anche da parte di chi guarda: è facile cadere in un giovanilismo indulgente che premia il solo fatto che giovani attori decidano di documentarsi su un fatto importante e cupo della storia italiana cercando di darne una loro lettura. Questo lavoro ha il pregio di aver cercato una via di metaforizzazione, seppur senza andare troppo a fondo del vero significato di questa traslazione di senso.

Come in altri spettacoli sull’argomento, anche in Topi viene detto che il G8 di Genova è stato vissuto come uno spartiacque. Bene, uno spartiacque tra cosa? Nei vent’anni successivi sono accadute tante cose ma queste non sembrano aver modificato le lenti di molti che osservano, oggi, quei fatti. Se possiamo apprezzare e sentirci anche rinfrancati da giovani che si appassionano alla memoria e all’importanza di ripercorrere la Storia recente, ancor più servirebbe riflettere su cosa significa oggi (sapendo quello che sappiamo oggi), parlare del G8, nel mondo che abbiamo oggi.

Fu un brutto affare: un probabile piano premeditato, governo, forze dell’ordine, paesi stranieri, accordi economici, agenti ventenni impreparati mandati a fronteggiare ragazzi come loro, provocazioni atte a giustificare la repressione, i black block, prove false costruite ad arte. Un grande, nefando casino. Ragionarci oggi, però, significa anche andare oltre gli odiosi maltrattamenti e le manganellate e cercare di capire quali acque ha diviso quello “spartiacque” negli anni a venire. Cosa siamo diventati con la vittoria della globalizzazione che i manifestanti tentavano di contrastare allora?
Chissà, per esempio, se c’è un legame tra la mancanza di forti gruppi giovanili (forse i Friday for future, oggi?) trasversali e strutturati e il bisogno di formare “collettivi” artistici dove si fa molto insieme e non si vogliono esplicitare le singole competenze.
Certo è una matassa aggrovigliata, forse non potrà dipanarla ma il teatro può essere un mezzo perché tutti gli spettatori si ricordino il dovere di provare a tirare le fila.

TOPI

regia e drammaturgia Usine Baug
con Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, Claudia Russo
luci e tecnica Emanuele Cavalcanti
assistente alla scenografia Arcangela Varlotta

Campo Teatrale, Milano
1 febbraio 2022