20131119_192624_LLSELENA SCOLARI | Ad accoglierci in sala è il trono di sangue di Macbeth, futuro re di Scozia. Una rossa lingua che dallo scranno scende verso la platea. A istinto, promette bene.

Il Piccolo Teatro Studio Melato di Milano (produttore dello spettacolo) ospita fino all’1 dicembre “Shakespeare, streghe, ribelli e altre passioni”, Laura Curino si prova con il classico Macbeth, scegliendo la prospettiva delle streghe. Le tre orride sorelle entrano con bellissime maschere rosso cupo (purtroppo non più usate in seguito), naso lungo e mantelli misteriosi, si presentano come spiriti, esseri strani, elementi fatti d’aria ma con immenso potere sulle azioni umane. A partire dalla profezia che predice a Macbeth, ora signore di Glamis, il suo prossimo titolo reale, il comportamento del protagonista, della sua perfida Lady, di Duncan, Banquo, Macduff sarà fatalmente influenzato da quelle parole indovine.

I tre esseri, insieme maschi e femmine, irreali e volutamente contraddittori, si trasformano negli altri personaggi della tragedia modificando la postura e la foggia dei mantelli (che spesso però si attorcigliano e rendono macchinosi i passaggi d’identità), l’idea è quindi che azioni e pensieri siano raccontati attraverso gli spiritati occhi delle streghe, che tutto dovrebbero ammantare di diabolica magia. Questa operazione però riesce abbastanza bene a Laura Curino, che ci appare comunque un po’ meno brillante del solito, ma non riesce affatto ai due comprimari, i giovani Mariamaddalena Gessi e Matthieu Pastore, visibilmente emozionati di trovarsi in cotanto luogo, sicuramente volenterosi ma – almeno alla prima – poco incisivi e inutilmente enfatici.

Citiamo volentieri le belle luci di Claudio De Pace, che donano alla scena un effetto di rarefazione cromatica saturo di atmosfera.

Curino è autrice (con Lucio Diana) di un testo collage tra Shakespeare, storie popolari e altre fonti di epoca elisabettiana, in questo complesso e interessante lavoro di assemblaggio e traduzione a sostegno del punto di vista “stregato”, abbiamo trovato qualche punto in cui la lingua non rotola scorrevole come dovrebbe e qualche incongruo ammicco alla contemporaneità televisiva, la scivolosa tentazione di attualizzare…

Ma noi continuiamo a guardare quella lingua di tessuto rosso che, intanto, si è avvicinata: come il trono è sempre meno lontano per Macbeth così l’indelebile traccia del delitto che verrà si fa prossima. Stranamente però il delitto ci risulta meno odioso del solito: come mai non ci disgusta l’irrefrenabile ambizione di un uomo accecato dal desiderio di potere? Perché non ci spaventano i cruenti pugnali che scintillano nella notte del misfatto? Ci accorgiamo che in questo allestimento, tutto considerato, mancano la ferinità, la ferocia, il tormento, di Macbeth. Il filtro recitativo delle streghe produce uno scarto per il quale si perde il senso maledetto del sangue, dell’assassinio, che si indebolisce.

Macbeth ha ucciso il sonno! Ma la sua inquietudine non è qui abbastanza tormentata: a nostro avviso, il sonno sembra essere sopravvissuto.

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