ANTONIO CRETELLA | Mi raccontò una volta una mia cara amica, chimico farmaceutico, che per testare in vivo l’efficacia di nuovi farmaci ansiolitici sulle cavie da laboratorio si procede in questo modo: ai topini dello stabulario viene offerto del cibo collegato a una fonte di elettricità. Il topino affamato vorrebbe naturalmente mangiare, ma se tocca il cibo riceve una forte scossa. La situazione paradossale sospesa tra desiderio e paura crea nell’animaletto una forte ansia, su cui poi si può testare l’azione della molecola.
Ho l’impressione che con il ritorno a scuola stiano facendo la stessa cosa a un’intera generazione: presentata come ritorno alla normalità e alla socialità, nei fatti gli alunni non possono esprimere in alcun modo la loro socialità fatta di contatto, gioco, abbracci, o anche di schiaffi e litigate. Si trovano, come per altro noi adulti, in una paradossale situazione di solitudine condivisa in cui non possono né toccarsi né interagire, senza contare la paura generata da effettivi casi di infezione in classe con la sequela di quarantene ed esami diagnostici da affrontare. Ho potuto toccare con mano tale disagio in questi giorni in cui come docente sono stato anche io sottoposto a isolamento fiduciario assieme ai colleghi e agli alunni per un caso di Covid nella mia scuola. Riporto solo uno dei tanti episodi di questi giorni di confinamento: mi telefona una madre in lacrime, genitore di un alunno con una lieve forma di ritardo. Dopo avergli spiegato che per qualche tempo sarebbe stato meglio non incontrare il nonno, il bambino si è chiuso nella stanza da letto per paura di “fare male a nonno”. Un singolo caso, certo, uno di quelli che non fa statistica, ma che mi porta a dubitare fortemente che chi sbandiera il benessere dei ragazzi come suo interesse precipuo, non sia totalmente informato o, peggio, non sia totalmente sincero.