GIANNA VALENTI | In Women Writing the Body: Let’s Watch a Little How She Dances, Elizabeth Dempster muove lo sguardo sui corpi femminili nella danza, dal balletto al modernismo, al post-modernismo, per riconoscere i modi in cui la tradizione teatrale occidentale ha definito e ridefinito il corpo della donna.
Un breve saggio pubblicato nel 1988 in una rivista di studi femministi e con un suo piccolo posto nella storia della drammaturgia della danza: Heidi Gilpin, che tra fine anni Ottanta e i primi anni Novanta lavora come dramaturg con William Forsythe, lo distribuisce ai danzatori di Enemy in The Figure, 1989, e di Limb’s Theorem, 1990.* Un piccolo atto con cui, ai corpi della danza al lavoro con Forsythe, si chiede di partecipare al processo di ricerca e di creazione coreografica, sviluppando un proprio sguardo sui codici storici e culturali che la danza incarna per arrivare a essere presenza consapevole in scena. 

The Forsythe Company, Art and Thought, 2015, PH Sylvio Dittrich

Una storia tutta femminile quella del modernismo nella danza, una storia di artiste che si dedicano al corpo e al pensiero coreografico con una profonda conoscenza del ruolo che il corpo femminile ha ricoperto e ricopre nei templi del balletto.
La danza classica, racconta Dempster, definisce il corpo perfetto, ponendolo in un mondo ideale e idealizzato, governato da un sistema di codici astratti e precisi. Un corpo che, sin dall’infanzia, attraversa una formazione rigorosa per prepararsi alla riproduzione di lavori coreografici in cui la danzatrice gode di un’autonomia minima rispetto all’uso e alla rappresentazione del proprio corpo sulla scena: un sistema in cui la scrittura del movimento e il pensiero coreografico sono quasi esclusivamente un privilegio maschile.
E per riagganciarci al pensiero di Forsythe, alla forza dei corpi femminili sulla sua scena e al loro ruolo collaborativo e autoriale nella creazione coreografica, ascoltiamo ancora Dempster raccontarci del grande paradosso del balletto classico, un genere di danza che richiede grande forza fisica, resistenza e volontà, un genere che si potrebbe definire atletico, ma che pone il corpo femminile al servizio di una narrativa che rappresenta la passività femminile, la dipendenza e la fragilità — un corpo che si enuncia come vitale e potente, ma a cui non sono garantiti diritti autoriali all’interno dei testi performativi.

È attraverso i nuovi linguaggi sviluppati da artiste donne che si aprono nuovi percorsi per il femminile nel mondo della danza. Sono le nuove artiste a cavallo del Novecento che danno vita a forme di espressione fisica che incarnano la visione e l’urgenza di un nuovo sguardo sul corpo femminile e i suoi movimenti: “… le tecniche e le forme coreografiche che svilupparono erano mappe e riflessioni delle possibilità e delle propensioni che originavano dai loro stessi corpi”, dice Dempster. 

Ruth St Denis, Burmese solo dance, 1923, PH Muray Nickolas

Isadora Duncan, Loie Fuller, Maud Allen and Ruth St Denis, costruirono immagini e crearono danze lontane dal balletto, dando forma a una scrittura del corpo femminile che rompeva in maniera decisa con le forme e i principi del mondo della danza teatrale di origine europea. Alcuni materiali liberi rintracciabili su YouTube ci permettono di viaggiare con lo sguardo su questi nuovi itinerari di cui parla Dempster:
Isadora Duncan in alcune sue immagini e frammenti su film e la sua tecnica e repertorio dimostrati dall’Isadora Duncan Ensemble.
Loie Fuller in un film del 1905 e il suo lavoro La mer del 1925 in una  ricostruzione del 2011.
Maud Allen in Salomè, film del 1910, e Ruth St Denis che danza East Indian Nautch Dance in un film del 1944.

Quando parliamo oggi di modernismo in danza, parliamo però più propriamente della produzione coreografica della seconda generazione di danzatrici moderne, quella di Mary Wigman, Doris Humphrey e Martha Graham, e dei linguaggi della danza alla base del loro pensiero coreografico. La danza moderna, ci racconta Dempster, è un insieme di diversi vocabolari e diverse tecniche di movimento che queste donne artiste hanno sviluppato come risposta ai loro progetti coreografici. All’interno del modernismo ci sono vocabolari e stili molto diversi, anche contrastanti, ma una visione simile del corpo che danza come veicolo per l’espressione di forze interne, e una condivisione del pensiero coreografico come tessuto emotivo e psicologico per dare forma a scritture fisiche, spaziali e temporali:

“ the dance is a living language… of man’s innermost emotions and need for communication“ – Mary Wigman
“moving from the inside out” – Doris Humphrey
“making visible the interior landscape” – Martha Graham

Mary Wigman

Ecco, sempre attraverso una selezione di materiali liberi su YouTube, i corpi del modernismo, corpi che per l’autrice incarnano conflitti spaziali e ritmici e che offrono la visione di un corpo femminile non passivo, ma dinamico e talvolta persino violentemente attivo:
Mary Wigman
Summer Dance – frammento 1929
Pastorale – frammento 1929
Exodus – 1918-1933
Doris Humphrey
Quattro frammenti originali presentati da lei – 1929-1934
Two Ecstatic Themes – 1931 – ricostruzione 1984
Martha Graham
Heretic – 1929
Night Journey – 1947
A Dancer’s World – 1957 (Graham parla della sua tecnica e della sua applicazione nel lavoro coreografico attraverso riprese in studio della sua compagnia) 

Martha Graham in Letter to The World, PH Barbara Morgan, 1940

Tralasciando i concetti di verità, naturalità e spontaneità, ampiamente utilizzati da queste artiste e che richiederebbero una lunga riflessione a parte, il corpo femminile nel modernismo genera linguaggi e pratiche che vengono messe al servizio della produzione e presentazione in pubblico di un pensiero coreografico che nella tradizione teatrale occidentale era stato sino a quel momento di quasi esclusivo appannaggio maschile: “A partire dagli anni Trenta, Graham e le sue colleghe artiste… crearono spazi che non erano mai esistiti per la danza e per le donne.”
Ed è proprio su questo terreno dell’autorialità coreografica e del coraggio di queste donne artiste di farsi portatrici di linguaggi, visioni e produzioni in un mondo tradizionalmente maschile, che un dialogo può mantenersi aperto con il nostro presente. Un dialogo che ci riporta all’urgenza e alla necessità di superare ogni scissione tra la preparazione del corpo che danza e del corpo che sa scrivere il pensiero coreografico attraverso il linguaggio della danza, con un’attenzione particolare alla preparazione del corpo femminile come corpo coreografico e non soltanto come corpo abile al danzare e interpretare un testo performativo non proprio.
La foto in copertina è della Martha Graham Dance Company in una coreografia ricostruito del 1936, Chronicle, un lavoro della Graham per rifiutare ogni guerra, un pensiero coreografico di impegno e riflessione sul presente dopo che nello stesso anno aveva rifiutato di partecipare alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Vi lascio due brevi video dal lavoro ricostruito: Prelude To Action e Steps in The Street.

Per Dempster, come per Gilpin e Forsythe, è importante aprire gli occhi sui codici del presente, ma anche aprire lo sguardo in maniera consapevole sui codici del passato, per saper sviluppare un proprio pensiero coreografico e saperlo collocare sulla linea temporale della storia della danza. In un incontro nel 2003 a Reggio Emilia, Forsythe dice che ricercare è ri-cercare, guardare di nuovo e non inventare e alla Biennale Danza 2010 riceve il suo Leone domandandosi e domandando, con un elenco di domande per guidare la sua e nostra ri-cerca nel presente e nel dialogo con il passato.
Vi lascio solo tre delle sue domande:

“What can we in dance provide for civilization?”
“How do we go about knowing?”
“What is there to know about dancing, about choreography?”
“Cosa possiamo offrire alla civiltà attraverso la danza?”
“Come facciamo a sapere?”
“Cosa c’è da sapere sulla danza, sulla coreografia?”

* Elizabeth Dempster, Women Writing the Body: Let’s Watch a Little How She Dances. Grafts: Feminist Cultural Criticism, ed. Susan Sheridan, London/New York, Verso, 1988.
Sulla copia fotostatica in mio possesso, che era parte di materiali distribuiti per un corso teorico undergraduate di introduzione ai Dance Studies tenuto da Heidi Gilpin alla University of California Riverside nei primi anni Novanta, c’è una scritta a mano che dice:
“Note to LIMB’S THEOREM Dancers:
This text was read + discussed during the making of Enemy in The Figure. You might talk to the original cast about it, and see how they responded to it.”