RENZO FRANCABANDERA | Quello che si svolge a Rovigo nella prima metà di giugno, il Festival Opera Prima, organizzato dal Teatro del Lemming, è un festival di teatro e arti performative di lunga tradizione, sebbene abbia subito delle vicissitudini nel corso del tempo che lo rendono a oggi un esperimento di tenacia da parte di un gruppo di appassionati del linguaggio della scena, riuniti intorno alla figura di Massimo Munaro.
Il fondatore di questa compagnia teatrale è un precursore in Italia del teatro dei sensi, sperimentatore intenso, che nel corso del tempo ha mantenuto vivo un proprio linguaggio specifico, fatto di forme rituali, rapporto con il classico  e ingaggio degli spettatori in una dinamica partecipativa che li vuole dentro creazioni sceniche costruite per abbattere le distanze fra palcoscenico e platea.

In questi anni gli spettacoli del Teatro del Lemming si sono contraddistinti per la loro natura peculiare, fatta di percorsi per uno o pochi spettatori, inseriti dentro una creazione dinamica guidata da un rimando ai grandi temi ancestrali della vita, dell’essere umano. È stato così anche per lo studio di Attorno a Troia – Ilio rivolto a una decina di partecipanti e ispirato alle vicende dell’Iliade, rivisitata da Munaro e dal suo gruppo di lavoro in un’ottica performativa.
Il festival si è aperto con questa anteprima nel weekend fra l’8 e il 10 giugno mentre la rassegna vera e propria ha preso vita la settimana successiva, secondo uno schema ormai rodato che affianca le figure di maestri o di storiche compagnie italiane che hanno fatto il linguaggio della scena (quest’anno Michele Sambin e i Motus), a nuovi talenti emergenti, tanto della danza quanto del teatro, in alcuni casi suggeriti dai maestri stessi affinché possano proporre le loro creazioni al pubblico veneto e non solo.
Il festival infatti ha da sempre una partecipazione molto ibrida, fatta non solo di cittadini e appassionati del posto ma anche di appassionati e artisti che convengono qui per vivere una delle poche, rare esperienze di condivisione ancora vive in Italia.
A queste presenze si aggiungono poi quelle selezionate dalla direzione artistica attraverso un vero e proprio bando internazionale che permette, pur nella grande ristrettezza di economie in cui questo festival vive, di portare qui performer internazionali con le loro creazioni semplici e originali.
È questa la cifra anche di questa edizione di Opera Prima, che testimoniamo con una serie di racconti, di cui questo contributo è la prima parte.
Ci riferiamo qui alla giornata di venerdì 16 giugno, chi ha preso il via in Piazza Garibaldi a Rovigo con Il terzo canto dell’Inferno portato in scena da un gruppo di giovani interpreti studenti del Liceo Scientifico Paleocapa di Rovigo (Rosanna Amarena, Marina Aspidistria, Filippo Casarotto, Maddalena Dal Maso, Anna Marzola, Luca Pellielo, Francesca Zangirolami) in un allestimento a cura di Diana Ferrantini con la regia di Munaro. La piazza è sempre stata abitata dagli spettacoli del festival e questa creazione, semplice ma intensa, ha davvero commosso i partecipanti.

Un gruppo di una decina di giovani ha offerto ai presenti la parola del poeta in modo vivo e presente, come forse solo i giovani possono fare, senza caricarla di enfasi e ostentazione attorale ma eseguendo in modo preciso movimenti e azioni. Una cassa di legno trasportabile poggiata su quattro ruote diventa il vascello del traghettatore dei dannati, attorno al quale si muovono le anime, il poeta e la sua guida negli Inferi, Virgilio.
La parola arriva con una recitazione semplice e onesta, non ammantata da retoriche di sorta. L’ingenuità interpretativa lascia pian piano posto ad una intensità specifica che porta i presenti a sentire davvero la vibrazione dello sforzo genuino del teatro. Fra i giovani spiccano visibilmente già ora alcuni talenti a cui non si può che augurare davvero di continuare nel proprio percorso di indagine e conoscenza di questo linguaggio tanto dannato per la passione che sa fare arrivare, quanto incredibile per la conoscenza di sé e del mondo che offre a chi se ne vuole fare interprete.

Dopo questa introduzione energica e vitalissima, ci si sposta al Teatro Studio. Qui prende vita un’altra rappresentazione non meno coinvolgente ed emotivamente importante, Brave, una produzione Città di Ebla di e con Valentina Bravetti e Paola Bianchi con la coreografa che coinvolge nella sua creazione la danzatrice che ormai 20 anni fa fondò con Claudio Angelini Città di Ebla, poi fermata dal 2014 fino al 2021 nella sua pratica artistica da una sindrome neurologica paraneoplastica  che ne ha minato l’autonomia. Lei e la Bianchi accolgono gli spettatori sul tappeto danza scuro all’interno del quale è iscritta una parabola tronca di colore rosso, su cui una serie di fari e sagomatori delimitano porzioni di spazio scenico abitati di volta in volta da gesti che, se in un primo momento raccontano dell’unione simbiotica fra le due interpreti, con l’andare della rappresentazione diventano una geografia di auto narrazione della rinascita.
All’inizio è davvero difficile distinguere il corpo ferito. Le tue donne, sempre poggiate con il bacino per terra, si uniscono in posizioni ardite di fusione.
Dopo una prima parte connotata da questo schema coreografico, la Bianchi si porta al bordo della parabola per lasciare all’altra interprete di occupare lentamente ma con vigore lo spazio della scena, perlustrandolo, percorrendolo con lentezza, un po’ come aveva fatto Chiara Bersani con il suo Gentle Unicorn. Un incedere inesorabile pur nella difficoltà, di progresso e conquista passo dopo passo della propria identità, raccontata ai presenti disposti sui due lati lunghi della scena e sul lato corto frontale.

Solo nel finale, l’apparire sul lato destro di una sedia a rotelle e nello spazio scenico di maniglie tenute su con le carrucole, rivela la difficoltà motoria, il ruolo attivo di restituzione del movimento, di aiuto a fare. Potrebbe trattarsi di un rimando alla marionetta ma il gioco qui è proprio quello di lasciar comprendere come in un dialogo di questo genere non possa esistere chi muove i fili e chi viene agito: si tratta di uno scambio in cui ognuno impara, prende, raccoglie su di sé i limiti e le possibilità fornite dalla fisicità altrui. Il corpo sempre collegato a terra, il bacino costretto a non poter assumere la posizione eretta, portano ad un finale dello spettacolo inatteso, in cui, dopo gli applausi scroscianti, il pubblico viene invitato a danzare nello spazio performativo, e quello che succede è davvero incredibile perché gli spettatori, comprendendo istantaneamente la portata coraggiosa (di qui il rimando al titolo che gioca anche un po’ con il cognome della Bravetti) del lavoro, vanno subito a prendere posto all’interno della parabola rossa ma senza stare in piedi. Danzano anche loro seduti, frenetici, in un ambito di condivisione e di trasmissione viva e presente del messaggio lanciato dalla creazione.

Ultima proposta della serata è Serpentine, una performance concerto per voce, elettronica, synth, live sampler di Ludovica Manzo con il live visual di Loredana Antonelli. Ospitata all’interno del Ridotto del Teatro Comunale, la creazione è affidata alla voce della interprete che propone dapprima un assolo di vocalismo informale, portandosi in un ideale proscenio davanti agli spettatori disposti in regolare platea su due ali con un corridoio nel mezzo. A seguire la cantante si posiziona dietro un tavolo su cui sono disposti microfoni, mixer e computer con sintetizzatori.
Alle spalle della cantante prendono il via una serie di proiezioni video, che partono dalla figura in bianco e nero di una ragazza colta in una posa da fotografia al mare degli anni ’70.
La foto viene deformata dal live visual, si allunga, si tramuta quasi come un quadro di Bacon, a richiamare il lavoro sulla voce che viene compiuto dall’interprete che mescola strofe di canzoni a forme sonore espressionistiche e informali, in cui tecnica e creatività si mescolano per formare un vero e proprio impasto ipnotico, piuttosto regolare nella forma, che per un’oretta circa porta gli spettatori dentro uno stato di trance.

Ad aiutare questa immersione dentro il sentimento inconscio sono sia le videoproiezioni fatte di geometrie caleidoscopiche e cromatismi raffinati, che partono da immagini e fotografie reali per frammentare e scomporre, sia un contingente temporale che con i suoi fulmini dall’esterno porta nell’ambiente intimo e raccolto dell’antica sala un’atmosfera di suggestione lirica e poetica. Ad un certo punto uno dei vocalizzi estremi della interprete viene raccolto da fuori, dalla piazza, da un cane che quasi suggestionato dalle note particolari prodotte dalla cantante, emette un latrato il cui unico aggettivo possibile è consono.
Misuriamo tutti la stranezza inarrivabile dell’arte, capace di comunicare alle forme viventi in maniera trasversale. La partecipazione involontaria di una forma vivente spettatrice, non invitata a prendere parte ma che pure si è sentita ad un certo punto di poter esprimere la propria consonanza, è una di quelle combinazioni che ha davvero del magico.
A volte nell’arte si cercano complessità preordinate, cose costruite, quando in taluni casi la potenza vera dell’atto creativo arriva da ciò che meno ci si aspetta, da qualcosa che non sta nemmeno in platea: la cantante, concentrata avverte quell’interferenza dall’esterno e quasi si compiace, in un istante assoluto, di essere entrata in comunicazione con un’altra forma vivente, lontana, attraverso la propria voce. È una di quelle emozioni puntiformi che per me spiegano meglio di molte altre cose la ragione dell’arte che, quando è tale, arriva davvero alla natura e la rilegge, la ripropone, la coinvolge dentro uno schema inaspettato e nuovo. È questa una delle ragioni che ormai da molti anni mi spinge a questo festival, sincero e onesto come chi, faticosamente, da anni, lo fa sopravvivere.
Lunga vita a Opera Prima!

ATTORNO A TROIA_ILIO uno studio

con gli allievi del Corso di Alta Formazione I CINQUE SENSI DELL’ATTORE 2022/2023
Alessandra Salvoldi, Arthuro Baetscher, Camilla Manzi, Cosimo Munaro, Elisa Rocco, Francesca Di Felice, Mariachiara Di Giacomo, Marta Dal Santo, Sara Pagani, Veronica Di Bussolo
drammaturgia musica e regia Massimo Munaro

IL TERZO CANTO DELL’INFERNO studio d’ambiente

con gli studenti del Liceo Scientifico Paleocapa di Rovigo
Rosanna Amarena, Marina Aspidistria, Filippo Casarotto, Maddalena Dal Maso, Anna Marzola, Luca Pellielo, Francesca Zangirolami
a cura di Diana Ferrantini
regia Massimo Munaro

BRAVE

concept e coreografia Paola Bianchi
di e con Valentina Bravetti, Paola Bianchi
suono Davide Fabbri, Luca Giovagnoli, Giacomo Calli
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
direzione tecnica Luca Giovagnoli
collaborazione artistica Roberta Nicolai
produzione Città di Ebla / Festival Ipercorpo – coproduzione PinDoc

SERPENTINE

voce, elettronica, synth, live sampler Ludovica Manzo
live visual Loredana Antonelli