MATTEO BRIGHENTI e ELENA SCOLARI | MB: Il mondo è come ce lo raccontiamo. La parola fa la Storia che viviamo. Al modo e tempo di ciò che è Sotterraneo aggiunge contemporaneamente ciò che non è. La forma che afferma e nega il suo contenuto. L’unicità che avviene nella ripetizione. Ogni volta come fosse la prima, autentica, perché senza dubbio falsa.
L’Angelo della Storia del collettivo fiorentino tre volte premio UBU è, per così dire, un “teatro del reciproco” alla massima potenza. Come un deus ex machina rovesciato, lo sguardo dell’angelo benjaminiano di Sotterraneo non piove dall’alto della narrazione, ma risale dal basso dell’interpretazione del reale. E non dà una risoluzione che non sia una soluzione di continuità a una trama di eventi ormai irrisolvibili.

ES: Un’esegesi esemplare, in stile Sotterraneo. Walter Benjamin (1892-1940), diciamolo per chi si sentisse in difetto a non conoscerlo, fu filosofo e scrittore, autore dell’Angelus Novus, formalizza una teoria critica della Storia nella quale – contestando l’idealismo di Hegel – nega il concetto di tempo omogeneo e vuoto a favore di un’idea “stereofonica” di tempo, in cui passato, presente e futuro convivono. Ogni presente è determinato da ciò che gli è sincrono.

Foto Giulia Di Vitantonio – Courtesy Inteatro Festival

Sotterraneo prova a farci intuire questa teoria con una lunga catena di episodi spezzettati, collocati in una data, e offrendocene un frammento per volta, a supportare la sensazione di simultaneità. Ciò che mi pare emerga dallo spettacolo è proprio un continuo, cronometrato, forward e rewind di fatti, avvenuti in varie epoche (ne ho ricordati 16, chissà se è un buon punteggio di memoria), dal 10000 a.C. fino al 2020 d.C.
Per la verità, dagli uomini primitivi impegnati nelle incisioni rupestri si passa per Pitagora (500 a.C.) e poi si va di corsa al 1200 circa. Se non ricordo male tutti gli altri episodi si riferiscono ad anni successivi a quelli di Eleonora d’Inghilterra, eterna partoriente. Non so dire se ci sia un significato in questo lungo salto temporale, ma tant’è. Il fatto è che il tempo è proprio un punto centrale, più dei fatti stessi che vediamo rappresentati e raccontati.

MB: In scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini, hanno tuttɜ un microfono al fianco, come se fossero pistole nella fondina. I proiettili sono le loro parole, e le parole sono i loro proiettili. Il “reciproco”, di cui parlavo prima, è al centro della scrittura di Daniele Villa: un montaggio parallelo di sequenze con personaggi, luoghi e situazioni che tanto divergono quanto si assommano. Dissolvenza e assolvenza di scene a sé stanti, ma con in comune lo sforzo sovrumano di resistere all’inspiegabilità degli eventi.
Sono tutti momenti interrotti e ripresi, frammentati e ricostruiti, che acquistano un senso solo nella complessità del racconto. Sotterraneo dà parole a fatti e fattoidi, o meglio questi sono universi di parole a cui Sotterraneo dà corpi e interpretazioni.

ES: Alcuni dei fatti (altri li derubricherei ad aneddoti) sono narrativamente significativi in sé, portano riflessioni, e conoscerli aggiunge un po’ di consapevolezza. La già citata Eleonora d’Inghilterra costretta a scodellare figli per tutta la vita, finché non fosse riuscita a mettere al mondo un erede maschio al trono in grado di sopravvivere fino all’età adulta (ci sono voluti 16 parti); la psicosi danzereccia di tutta Strasburgo caduta in una specie di trans coreutica nel 1500 che ha portato i piagati del ballo alla morte; il tecnico russo nella stanza dei bottoni nucleari che deve decidere se pigiare il tasto definitivo; la donna che suona al piano i notturni di Chopin per coprire le voci dei partigiani che si accordano sulle mosse da realizzare. Tutti argomenti su cui si potrebbe stare a lungo, ma l’approfondimento non è l’obiettivo.
Il racconto dei Sotterraneo è un puzzle di tessere difformi, che non si incastrano, che formano una lunga fila o, meglio, un anello irregolare. È nella pratica di simultaneità ricreata, in vitro (o in teatro), di questi bocconi di storie che sta appunto il perno, non nei singoli pezzi.

Foto Giulia Di Vitantonio – Courtesy Inteatro Festival

MB: Il racconto è un respiro, un tempo che abbiamo per dire chi siamo, a noi e agli altri. L’Angelo della Storia va incontro a “vite che non sono la mia”, per citare Emmanuel Carrère, ma che potrebbero esserlo. E qui sta tutta la differenza dell’arte teatrale, che Sotterraneo usa ad alta velocità e risoluzione, a mio avviso come mai prima d’ora. Il gaming, la modalità di gioco propriamente intesa, viene declinata in un’interazione con il pubblico di quelle che ti fanno sentire ed essere qui, ora e che ti vedono e riconoscono per ciò che sei qui, ora.
Sotterraneo non vuole portarti lontano, né tantomeno interrompere il libero flusso dell’azione, come fa ad esempio in Overload: vuole tenerti lì con sé sul palco del Teatro Cantiere Florida di Firenze – dove sono andato io – o del Teatro Sant’Afra di Brescia – dove sei andata tu – a fare zapping tra i casi chissà quanto evolutivi di una Storia che accade tutta insieme, allo stesso tempo. Quindi, non ci sono età, non ci sono anni, ci sono solo date segnaposto sul ledwall a fondo scena, mentre il giro d’orologio è chiuso nel timer dei nostri cellulari.

ES: Ecco, qui ti avvicini al vero cuore dello spettacolo! Overload voleva – sostanzialmente – dirci che riceviamo troppi impulsi esterni, ci distraiamo continuamente, non siamo più capaci di tenere un filo per più di pochi minuti, abbiamo continuamente bisogno di andare altrove, di vedere altro, di sentire altro. Condannati a una vita di salti, per non sentire che il terreno scotta o è diventato gelido. L’Angelo, invece, vuole dirci che è la Storia medesima a guardare a sé stessa come a un piano unico di accadimenti non lineari.
Il giochino del cronometro sul cellulare di cui parli è un artificio per mostrare il perfetto calcolo dei tempi di un meccanismo di scena rodato e molto preciso, dove non c’è possibilità di sbavature, di imprevisti, non c’è deviazione immaginabile; i telefoni suonano tutti insieme proprio quando devono suonare, ma si tratta di un virtuosismo, non è un modo di viaggiare insieme. C’è, insomma, una certa ossessione per il controllo.

Foto Giulia Di Vitantonio – Courtesy Inteatro Festival

Gli attori creano un tabellone di gioco in cui il percorso – apparentemente confuso – è in realtà una struttura rigidissima: anche quando gli interpreti, impeccabili, ballano in stile country o medievale, sono ordinati in una griglia impietosa dove non c’è abbandono, non c’è dionisiaco. Che è, invece, la forza che ha mosso molto della Storia umana.

MB: La piena, perfetta gestione dei tempi e dei ritmi, dei fiati e dei gesti, di Bonaventura, Cirri, Guerrini, Pennati, Santolini, scandisce sulla scena la chirurgica pulizia di pensiero espressa da Villa sulla pagina. Non si scherza con le mappe mentali, sai? Sono questione di vita o di morte!
Come performer e attorɜ, mimi e interpreti, cantanti e danzatorɜ, indagano se, quanto e come la realtà e il racconto coincidano. Riescono a farci rivedere e rivivere quello che non abbiamo mai visto, né vissuto, a farci essere dove non siamo mai stati, né saremo mai, nel continuo ciclo, che hai ricordato, tanto di parti e di aborti, come di convinzioni che diventano azioni.

ES: Dici bene, in questo quadro di continua esattezza, inscatolato in una ragionata confusione, di attori in costumi informali con linee di profili colorati, si evidenzia la tesi di Benjamin secondo cui il senso delle cose umane scaturisce dalla nostra manipolazione finalizzata al racconto; le cose (e i fatti) hanno senso se sono viste in prospettiva, non hanno un valore in sé ma lo acquistano piegandosi verso un fine futuro, che è poi il progresso.
Tutto quello che non ha una correlazione logica con il prima e il dopo trova la sua ragion d’essere nella “visione dall’alto” che ne ha l’Angelo della Storia, come nel quadro di Paul Klee che viene descritto e realizzato scenicamente per il finale.

Foto Giulia Di Vitantonio – Courtesy Inteatro Festival

MB: Le storie, quindi, non sono altro che le spiegazioni che ci diamo per ciò che non riusciamo a spiegarci. Non possiamo farci niente, siamo programmati così, è la nostra natura: siamo “esseri simbolici”. È una verità semplice, non subito comprensibile, d’accordo, perché sminuzzata come molliche di Pollicino nel rutilare di un disegno scenico senza sosta. Però, nel momento in cui si prende il tempo e lo spazio per aprirsi al pubblico, risplende in tutta la sua evidenza.
Questa rivelazione in corso d’opera ti fa rileggere ciò che hai visto dall’inizio. Ti fa tornare indietro, mentre non puoi che andare avanti. Ti trasforma, in sostanza, nell’angelo di cui parla Benjamin. Diventi L’Angelo della Storia. Del resto, come dice Italo Calvino, «non è la voce che comanda la Storia: sono le orecchie». Sta qui la genialità di quest’ultimo lavoro di Sotterraneo, per me a ragione premiato all’Ubu 2022 come Miglior Spettacolo.

ES: In scena scorrono le storie più che la Storia. Gli episodi più centrati sono quelli di cui esiste già, in scena, una lettura ex post di ciò che è avvenuto. Nelle schegge in cui più è presente l’elemento tragico/emotivo non c’è, però, traccia di compassione, l’Angelo di Benjamin volta le spalle al futuro che lo attira perché vuole raccogliere e conservare l’esperienza passata, vuole tentare di riscattare il dolore degli sconfitti, e per fare questo bisogna sentire e attraversare il patire degli antenati, non solo capirlo e analizzarlo razionalmente. Altrimenti non vi sarà progresso.


L’ANGELO DELLA STORIA

creazione Sotterraneo
ideazione e regia Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Daniele Villa
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
scrittura Daniele Villa
luci Marco Santambrogio
costumi Ettore Lombardi
suoni Simone Arganini
montaggio danze Giulio Santolini
produzione Sotterraneo
coproduzione Marche Teatro / ATP Teatri di Pistoia Centro di Produzione Teatrale / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG / Teatro Nacional de Lisboa D. Maria II
con in contributo di Centrale Fies, La Corte Ospitale, Armunia
con il supporto di Mic, Regione Toscana, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze
residenze artistiche Centrale Fies_art work space, La Corte Ospitale, Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin, Armunia, Elsinor/Teatro Cantiere Florida, Associazione Teatrale Pistoiese

Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory, è residente presso Associazione Teatrale Pistoiese ed è artista associato al Piccolo Teatro di Milano

Teatro Cantiere Florida, Firenze | 10 novembre 2023
Teatro Sant’Afra, Brescia (Wonderland Festival) | 24 novembre 2023