ELENA SCOLARI | Siamo a Melilla, 73.000 abitanti, città spagnola sulle coste del Marocco. Il fotografo José Palazón si alza, accende la sua prima sigaretta, beve il caffè, fa la doccia, e si reca sul luogo dove scatterà la foto da cui prende lo spunto Birdie, della compagnia catalana Agrupación Señor Serrano: l’immagine di quindici migranti che tentano di scavalcare la recinzione che separa la città dal resto del Marocco mentre i golfisti nel campo confinante rimangono serenamente alle prese con buche e mazze.
La rete intorno a Melilla è stata costruita negli anni ’90 dagli spagnoli, con lo scopo di impedire immigrazione e contrabbando. È costata 30 milioni di euro.

Apprendiamo tutto ciò da una voce fuori campo e da una lunga sequenza di articoli di giornale poggiati su una lavagna luminosa e proiettati su uno schermo. I tre operatori sono in scena (Àlex Serrano, Pau Palacios, David Muñiz) e trafficano con computer, cartoline, ritagli, foto, oggetti, che assemblano e muovono per comporre ciò che noi vediamo in grande sullo schermo.

Il titolo Birdie si riferisce, come da didascalia iniziale, a uno speciale colpo del golf ma anche al film Gli uccelli di Alfred Hitchcock, di cui si ripetono alcuni fotogrammi, la protagonista Tippi Hedren giovane e poi lei da anziana, nella stessa posa con un uccellaccio sull’avambraccio. È inserito anche un brano di intervista al regista che afferma “Gli uccelli forse non esistono, sono solo proiezioni delle nostre paure“. Tutto lo spettacolo è un “sistema” nel quale si costruisce una struttura semantica fatta di immagini e di commenti alle stesse, montando una teoria che – in buona sostanza – paragona i flussi migratori umani a quelli degli uccelli. Sì, siamo d’accordo nel dire che i migranti siano i collettori delle nostre paure, ma con la macroscopica differenza che essi esistono eccome, altro che proiezioni. E non volano. Tanto meno sopra le recinzioni.
La supposta originalità dell’idea si realizza anche attraverso l’utilizzo di migliaia di miniature, uomini, oggetti e animali da modellino di architettura disposti sul palco che ripresi dalle telecamere si trasformano in una gigante processione in cammino: dalle scimmie ai neonati che gattonano (citazione darwiniana dell’evoluzione?), dalle torri di pozzi petroliferi alla marcia dei pinguini, tutti inesorabilmente diretti verso una buca, una buca da golf in cui saranno inghiottiti. Amara e apocalittica previsione alleggerita dal fatto che è l’uomo a muovere il tutto, quindi c’è possibilità di redenzione?

Pensiamo però all’utilizzo della telecamera in diretta che fa Milo Rau: in Five easy pieces (che narra la tragica vicenda di Marc Dutroux, assassino belga di ragazzini) costruisce ogni quadro come in un set e poi riprende i bambini che recitano la scena. La sovrapposizione di linguaggi è finalizzata a moltiplicare la forza dell’interpretazione, che arriva come uno schiaffo, ogni volta più doloroso. Efficace perché assume un senso teatrale che prorompe fuori dal palco. In Birdie invece tutto è metainterpretazione, il racconto è un montaggio è fatto di figure, rappresentazioni, sempre mediate, e le presenze umane sono funzionali solo alla prassi.

E se vogliamo sconfinare nel campo dell’arte contemporanea, precedenti utilizzi intelligenti e assai più ironici delle miniature sono dell’inglese Slinkachu che dal 2006 fotografa mini scene – anche di sapore politico – calate nei paesaggi urbani e dei fratelli Jake and Dinos Chapman, anch’essi inglesi, che ancora prima (1993) catturarono l’attenzione con l’installazione Disaster of war, passata in Italia alla Punta della Dogana di Venezia, diorami composti da soldatini di plastica ispirati a incisioni di Goya.

Agrupación mescola gioco e cronaca, mostrando la crescente difficoltà che abbiamo nel distinguere i piani e nel leggere criticamente le immagini. L’analisi della foto di Palazón in ogni suo particolare occupa una parte del lavoro, una scansione a mo’ di scheda tecnica che cita la marca degli scarpini da golf indossati dai giocatori e delle maglie indossate dagli scavalcatori, la descrizione del tipo di palma, la macchinina del caddie, la sezione aurea delle proporzioni tra gli elementi presenti.
La felpa rossa con cappuccio indossata da uno dei migranti è la stessa che porta il terzo performer, immobile e di spalle per tutto lo spettacolo fino al finale, l’unico momento strettamente teatrale, in cui si alza e si gira verso il pubblico, quattro grandi ventilatori vengono azionati (creando solo una lieve brezza, a dire il vero), e la voce fuori campo ci dice che prima o poi nella vita tutti volano.
Anche Birdie è un volo d’uccello, articolato e un po’ noioso, in cui la moltiplicazione dei livelli e la laboriosità tecnica abbassano l’altitudine e la fascinazione dello spettatore è limitata al tempo della scoperta.

Birdie
ideazione: Àlex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal
con: Àlex Serrano, Pau Palacios, David Muñiz
voce: Simone Milsdochter
project manager: Barbara Bloin
lighting design e video programming: Alberto Barberá
sound design e colonna sonora: Roger Costa Vendrell
creazione video: Vicenç Viaplana
modellini in scala: Saray Ledesma, Nuria Manzano
costumi: Nuria Manzano
assistente di produzione: Marta Baran
consulente scientifico: Irene Lapuente/La Mandarina de Newton
consulente sul progetto: Víctor Molina
una produzione di: GREC 2016 Festival de Barcelona, Agrupación Señor Serrano, Fabrique de Théâtre – Service des Arts de la Scène de la Province de Hainaut, Festival TNT – Terrassa Noves Tendències, Monty Kultuurfaktorij, Festival Konfrontacje Teatralne
con il sostegno di: Oficina de Cultura de la Embajada de España en Bruselas, Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya, Centre International de Formation en Arts du Spectacle de Bruxelles, Instituto Nacional de las Artes Escénicas y la Música (INAE M), Institut Ramon Llull