ILENA AMBROSIO | Si chiama Anni Luce la rassegna che la trentaduesima edizione del Romaeuropa Festival dedica alle realtà emergenti sulla scena teatrale italiana; un percorso che si propone di «andare a guardare lontano, oltre la profondità del cosmo», verso futuri possibili. Ironico, quindi, che ad aprire le danze sia stato Madre della molisana Azzurra De Gregorio, lavoro che volge lo sguardo lontano ma all’indietro, indagando o, meglio, rappresentando, l’archetipico e l’originario per eccellenza: la figura della madre.

Un lavoro in cui la ricerca – questa, sì, “futuristica” – della De Gregorio nel campo nelle arti visive e delle performing art genera una serie ininterrotta di sollecitazioni che danno forma alla camaleontica complessità dell’oggetto rappresentato.

Scena costate uno spazio nero dove campeggia un luminoso triangolo bianco, triangolo del femminino, primo astro della costellazione di simboli e elementi provenienti da culture e religioni millenarie che si offriranno allo spettatore. Nell’incipit suoni meccanici e luci intermittenti – notevole la perfetta armonia tra le direzione musicale e quella scenica – producono immagini che paiono istantanee da monitor ecografico ma anche “placentose” visioni uterine o, ancora, quelle del vuoto cosmico da cui tutto è principiato.

madre4A fatica un essere ancora informe in perizoma/pannolone – l’unico uomo tra i cinque interpreti – squarcia il filtro del triangolo vaginale uscendone carponi e ancora legato al cordone cui fa da altro capo lei, la madre, in abito e velo bianchi ricamati: immagine a metà tra la sacralità di una sacerdotessa e il folklore di antiche spose meridionali. È il primo dei tre momenti dello spettacolo, la nascita, che si tramuta subito in scontro: i due corpi, legati dal cordone ombelicale, si trascinano violentemente da un punto all’altro della scena. Lotta tra genitore e figlio ma anche già tra uomo e donna.

Si palesa, quindi, la nota dominante del lavoro della De Gregorio: fluidità di senso o, meglio, molteplicità di sensi, di interpretazioni, di ruoli, quelli che, dalla notte dei tempi, si sono stratificati sulla figura-madre. Gli unici due momenti di parola del lavoro dicono proprio questo: monologhi fuori campo che tramite anaforici «Io sono…» raccontano di entità, l’uomo e la donna, multiformi, mutevoli, perennemente cangianti.

Madre generatrice; madre liberatrice del figlio dalle tre simil Erinni – visi di cera, tatuaggi neri sulle cosce, ampi gonnelloni di plastica trasparenti – che lo avvinghiano recidendo una volta per tutte il cordone ombelicale. madre7-minMa anche madre santa dalla quale succhiare la vita in una suggestiva istallazione – coerentissima la scelta musicale di uno Stabat Mater – che vede la protagonista, Madre pietosa ma insieme crocifissa, legata a tubi  che portano sangue e latte al calice dal quale il Figlio potrà bere.

Scena emblematica, questa, anche delle modalità espressive degli interpreti che trovano nel patetico la propria categoria d’eccellenza. Un pathos che scorre nei loro muscoli e, soprattutto, modella i loro volti; un pathos che non implica, però, comunicazione con ciò che sta oltre la scena. Non ci sono personaggi bensì figure, allegorie di una vicenda esistenziale universalmente condivisa.

Vicenda che, dopo la definitiva recisione del cordone vede la madre divenire femmina cui congiungersi. Il terzo e ultimo momento dello spettacolo sarà allora l’unione con un altro essere. La simbolicità degli oggetti di scena, caratteristica di tutta la performance, raggiunge l’acme per dar vita a un vero e proprio rituale, quello nunziale dal quale, come in un eterno ritorno dell’uguale, si genererà una nuova figlia e madre e donna e moglie.

madre9L’incontro tra l’aura d’antico e ancestrale e l’evidente sperimentazione può dirsi certamente felice e suggestivo.  Ma, a voler identificare la cifra stilistica e concettuale di questo lavoro, si potrebbe certamente ricorrere all’indefinito: una fluida e perciò priva di contorni rappresentazione di un’immagine-madre e delle infinite immagini di lei figlie; una performance che, pur basandosi sulla materialità dei corpi, del gesto, dei numerosi oggetti di scena e, ancora, delle luci, della musica e dei costumi, restituisce visioni vaghe, celanti in sé il molteplice, la metamorfosi e che, per loro natura, rischiano in alcuni momenti di risultare oscure.

Eppure vago e indefinito sono vie della poesia, sosteneva Leopardi e, in definitiva, è di certo poetico il complesso quadro della madre regalatoci da Azzurra De Gregorio.

 

Madre

Scritto e diretto da Azzurra De Gregorio
Costumi  Marina Miozza
Sound Design Massimo Scamarcio
Scene Michelangelo Tomaro
Con Giulio Maroncelli, Rossella Massari, Arianna Ricciardi, Ilaria Barone, Luciana di Nardo

Produzione Frentania Teatri
Assistente alla regia Giandomenico Sale
Assistenza musicale Gianni Tamburelli

Romaeuropa Festival 2017
La Pelanda – MACRO Testaccio
3 ottobre