MATTEO BRIGHENTI | Due serate gentili, accoglienti, finalmente d’estate. Solo la luna piena, accesa lassù come un altro faro, non è merito dei Kronoteatro. Comunque, è grazie a loro se sabato 1 e domenica 2 agosto noi siamo qui, nell’entroterra di Albenga, in provincia di Savona, e la guardiamo tutti insieme dall’Azienda Agricola Biologica Bio Vio. La distanza è l’accidente di un momento, la sicurezza su cui contare è ritrovarci. Terreni Creativi Festival 2020, si potrebbe dire, sta semplicemente nel fare quello che un festival di teatro, danza, musica come questo sa fare, al meglio delle proprie capacità e possibilità.
Semplice, però niente affatto facile. Maurizio Sguotti, Tommaso Bianco, Alex Nesti e compagni, hanno dovuto combattere. Eccome: i loro guantoni sono finiti nell’immagine manifesto di Nicolò Puppo, sulle magliette e sulle mascherine. Una sfida all’emergenza sanitaria, alla crisi economica, all’incertezza e alla disillusione boxata con un piglio consapevole, ma propositivo. L’effetto del primo colpo a segno è inciso nell’accento sul titolo di questa XI edizione: Scàmpati fa della sopravvivenza al pericolo Coronavirus un invito a vivere a pieno, senza paura (scamparsi in dialetto ligure sta per divertirsi, svagarsi).

Porpora. Foto di Luca Del Pia

La danza di apertura di Simona Bertozzi è una preghiera concisa, un abbandono e un ricongiungimento con il sé, nell’altezza di una quiete che palpita e si smarca dal buio circostante. Porpora segue la traccia di alcuni «appunti d’azione coreografica» montati da Bertozzi in occasione della sua presenza a Terreni Creativi. Si tratta di intuizioni, suggestioni di lavoro in vista della prima nazionale di Tra le linee a Torinodanza Festival a inizio ottobre.
Il gesto coreografico è un accenno che chiede «accoglienza all’aria», una partitura di cambi di peso per cercare di trasformarsi i connotati e, forse, riconoscersi dove spira questa dolce brezza dal mare, che accarezza le pene che abbiamo e quelle che non lasciamo andare via. È quasi un arabesco di veli immaginari che non svelano, piuttosto coprono, nascondono, affinché ci sia vera conquista e non solo mera scoperta.
L’attesa è resistenza, come per la “Naked Athena” di Portland, in Oregon, Stati Uniti, durante una delle proteste per l’omicidio di George Floyd. Verso la fine, infatti, la coreografa e danzatrice assume la medesima posizione, seduta con le gambe aperte, della donna ribattezzata “Atena nuda” di fronte a uno schieramento di agenti in tenuta antisommossa.
Certo, i diversi quadri, introdotti da brevi letture al microfono, girano un po’ su se stessi, quanto noi nei mesi di reclusione coatta in casa, ma le finestre di Porpora si aprono ugualmente a suggerire l’occasione di un fuori. È uno spazio vuoto, intimo e raccolto, che si rispecchia nella danza iniziatica, sciamanica, di Manfredi Perego e nella postura emotiva costante, senza grandi guizzi, del suo Primitiva.

Primitiva. Foto di Luca Del Pia

L’allievo anche di Simona Bertozzi dà forma a un corpo animalesco in continuo agguato. L’approccio è materico, tribale, in questo screziare l’oscurità con l’arco teso di muscoli e di tendini che sembrano perpetui. La ricerca di simili elementi primari del movimento assume la cadenza di un viaggio al centro della nostra natura. Ossia, quella parte originaria e autentica di noi stessi che non sappiamo di avere sino a quando non smettiamo di attendere e iniziamo a re-agire.
Assistiamo, quindi, a un volo trattenuto e sospirato, impulsivo e fragile, che con l’insistenza di un tamburo marziale prova a farsi largo tra le giunture. Ma l’imprendibile è già nella scelta di saltare, come la meta è già nella voglia di partire. Una partitura che Perego, in alcuni, decisi momenti, si direbbe rivolga quasi come un osanna alle montagne laggiù, alla loro forza di esserci e restare, anche quando tutto intorno è scuro.
Girate le sedie di 180 gradi, il palcoscenico non è più della danza, ma del teatro. La poesia lascia spazio alla prosa, la luna a lampi che si perdono in lontananza, le montagne a macchine e camion che, visti da qui, paiono pattinare nella notte. E piangono proprio l’asfalto i Babilonia Teatri con Calcinculo, lo spettacolo-canzone (ora anche album) che è un’invettiva, mascherata da innocente luna park, contro la mercificazione delle nostre esistenze.

Calcinculo. Foto Luca Del Pia

Sfilano casi umani, per i quali non esiste felicità possibile se non di plastica, ma anche veri “casi canini”: alcune padrone, dall’aspetto teso e sorridente, accompagnano in scena i propri cani e le loro storie, presentate da Enrico Castellani con ostentato entusiasmo, tipico della televisione del dolore.
Dobbiamo votare insieme il vincitore e dunque prendere una decisone collettiva. In realtà, decide Castellani per noi, perché la scelta comune, afferma sornione, è ormai un anacronismo. E tutti applaudono, prova che l’accordo è diffuso. Tanto uno vale l’altro, l’importante è far parte dello show e godere di qualche attimo di celebrità, non importa se riflessa o manipolata ad arte.
Allora, i terroristi islamici possono essere considerati gli artisti più influenti del mondo: loro sì che sanno coinvolgere il pubblico. I Babilonia Teatri provocano con intelligenza, rimarcando quanto, in una società spettacolarizzata, il confine tra la serietà e il ridicolo, tra la verità e la falsità, sia in mano a chi, di volta in volta, regge il microfono.
Manca, in definitiva, un metro condiviso per misurare la realtà, cantano da ultimo Enrico Castellani e Valeria Raimondi con un coro alpino diretto da Luca Scotton, un esemble fantasma, dato che quello reale non può salire sul palco a causa dei protocolli anti Covid-19. Ecco, ci sappiamo allontanare, tenere a distanza, quanto invece al saperci avvicinare e comprendere davvero a vicenda abbiamo ancora molta strada della compassione da percorrere.
Un primo passo, sembrano rispondere i Maniaci d’Amore, è riconoscere che sono le nostre voragini interiori che ci fanno essere umani. Sono comuni a tutti, anche a chi all’apparenza è il più specchiato e ineccepibile. Siede la terra, creato appositamente per questi Terreni Creativi, lo mette in piazza e alla berlina attraverso l’eccesso e il lazzo di una caccia alle streghe dell’assurdo.

Siede la terra. Foto di Luca Del Pia

Ci troviamo nel paese di Sciazzusazzu di Sopra. Francesco d’Amore e Luciana Maniaci sono, rispettivamente, una madre, una figlia e ogni altra caricatura di un tale «documentario teatrale su un luogo inventato». Il pettegolezzo, la malignità, la calunnia sono l’unità di misura di qualsiasi rapporto: le parole non sono mai opinioni, piuttosto giudizi, alimentati con la benzina dell’invidia, quando va bene, oppure dell’odio, quando va male. Al contrario di quanto si dice normalmente, i panni sporchi si lavano in pubblico, non in privato.
Gli schizzi arrivano dritti sopra un muro «pagato dall’Unione Europea». È il marchio di un’infamia a sfondo sessuale scritto a caratteri cubitali. La conseguente macchina del fango innesca una tortuosa vicenda, tra il thriller e la satira di costume, alla ricerca della vittima e del colpevole. C’è del marcio a Sciazzusazzu di Sopra. E non risparmia, appunto, nessuno.
La narrazione non è lineare, procede per ellissi, per balzi tipo zapping, con scorrimento avanti o indietro su una cattiveria che, a pensarci, è soltanto un modo per ingannare il tempo, per sentire meno il fallimento, l’abbandono. La speranza di un futuro è comunque altrove, lontano da questo universo di menzogne spacciate per verità e di felicità vendute un tanto al chilo. È nell’amore ardente dei giovani, «amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende», come per Paolo e Francesca.
Un senso che il titolo della creazione dei Maniaci d’Amore suggerisce beffardo nell’ombra. Difatti, «siede la terra» è l’espressione che Dante Alighieri usa nel Canto V dell’Inferno proprio per indicare dove nacque Francesca da Rimini.


PORPORA
appunti d’azione coreografica

di e con Simona Bertozzi
musiche Brian Eno, Gustav Mahler
organizzazione Monica Aranzi
ufficio stampa Michele Pascarella
produzione Nexus 2020
con il contributo di Mibact – Regione Emilia-Romagna
con il sostegno di Alma Studios – Bologna
Progetto appositamente realizzato per Terreni Creativi Festival 2020

CALCINCULO

di e con Enrico Castellani e Valeria Raimondi
e con Luca Scotton
musiche Lorenzo Scuda
direzione di scena Luca Scotton
produzione Babilonia Teatri, La Piccionaia
coproduzione Operaestate Festival Veneto
scene Babilonia Teatri

PRIMITIVA

coreografie/danza Manfredi Perego
musiche Paolo Codognola
luci Giovanni Garbo
produzione TIR Danza
in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
in collaborazione con Centro Nazionale di Produzione della Danza Scenario Pubblico CZD, Teatro delle Briciole/Solares Fondazione delle Arti, MP.ideograms, ResiDance XL
Manfredi Perego è artista associato presso il Centro Nazionale di Produzione della Danza Scenario Pubblico/CZD

SIEDE LA TERRA

di e con Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
oggetti di scena e costumi Francesca Marsella
disegno luci Alex Nesti
produzione Maniaci d’Amore / Kronoteatro
Progetto appositamente realizzato per Terreni Creativi Festival 2020

Azienda Agricola Biologica Bio Vio, Albenga
1-2 agosto 2020